XVIII. Gabbia dorata

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Era saltato fuori fosse stata tutta una bugia.
Daisy stava aspettando il suo turno nell'ufficio del rettore, seduta su una delle sedie davanti alla porta in mogano scuro.
Stringeva l'anello tra le dita, come sempre quand'era nervosa.
Stephen non era con lei, perchè lei aveva voluto fosse così.
"Cosa dovevi mostrarmi?" aveva domando, non appena erano rientrati nell'atrio del campus dal quale si allargavano le due ali dell'edificio.
Lui era arrossito.
"Niente, in realtà" aveva ammesso.
Daisy aveva messo le mani sui suoi fianchi, guardandolo piccata.
"Allora perchè l'hai detto prima?" aveva continuato "Avresti potuto lasciarmi finire il mio discorso con Nick"
"Sembrava lo conoscessi"
"In realtà l'ho incontrato solo un paio di volte quando... non è questo il punto! Stephen, lui avrebbe potuto darmi consigli su come farmi ammettere qui"
Stephen era rimasto in silenzio, come a rimuginare.
"Non dici niente?" aveva sbottato Daisy.
Lui aveva allargato le braccia.
"Be' mi dispiace, d'accordo?" aveva detto, in fretta "Ma non posso tornare indietro e non interrompervi"
"Se usi il verbo interrompere sembra tu stia parlando di una cosa romantica, come se stessimo avendo un appuntamento o cose del genere"
"E non lo era?"
Daisy si era limitata a guardarlo con tanto d'occhi.
Stava parlando sul serio?
"Lo stai chiedendo davvero?" aveva ribattuto "Quarterback, ti ho appena detto che l'ho visto due volte a dire tanto"
"Veramente mi hai detto che non era quello il punto"
Daisy era senza parole.
"Buonanotte" si era limitata a dire, voltandosi diretta verso la propria camera.
Stephen aveva provato a richiamarla, ma lei non si era fermata.
Ora, picchiettando le dita sul suo ginocchio, Daisy sospirò.
Stephen si era comportato in maniera incomprensibile e senza un'apparente motivazione.
Sembrava fosse... ma non era possibile.
Non poteva essere geloso.
Di cosa poi?
Con occhio esterno, Daisy ripensò a quei pochi minuti con Nick: due ragazzi di notte da soli che passeggiavano, chiacchierando.
Certo, il sospetto sarebbe anche potuto nascere ma rimaneva il fatto che Stephen non avesse alcun diritto di essere geloso.
Non è che loro fossero una coppia anche se buona parte della scuola probabilmente lo credeva per colpa di Gilbert.
Si appoggiò allo schienale della scomoda sedia, chiudendo gli occhi.
Perchè il rettore ci metteva così tanto a chiamarla?
Probabilmente stava leggendo il suo profilo e aveva deciso di non concederle nemmeno il colloquio.
Probabilmente adesso la sua segretaria sarebbe uscita da quella porta e le avrebbe detto di lasciare il campus, perchè Yale non avrebbe mai e poi mai...
"Signorina Dickens?"
Daisy aprì di scatto gli occhi e trovò una donna sulla cinquantina con i capelli rossi che la guardava, sorridendo.
"Sì?" fece lei.
"Il rettore l'aspetta"
Le aprì la porta e Daisy, dopo aver stretto il suo quaderno celeste, si alzò e varcò la sua soglia.
Stai con me Jesse, pensò.
Il rettore MacMillan era un uomo sulla quarantina, con i capelli biondi portati rasati corti e un paio di occhiali dalla montatura spessa che gli penzolavano sul naso.
"Buongiorno signorina Dickens!" esclmaò, alzandosi in piedi.
Lei lo osservò un po' sorpresa mentre le porgeva la mano che lei strinse.
Era incredibilmente arzillo per essere le otto del mattino.
"Si sieda, si sieda" le disse, sorridendo smagliante.
La guardò, con le mani intrecciate sulla scrivania.
"Che bel cognome che ha" continuò "il professor Gilbert mi ha detto che come il suo omonimo Charles Dickens anche lei scrive, giusto?"
"Giusto, signore" rispose Daisy "le ho portato alcuni miei componimenti"
Gli porse il quaderno e il rettore lo esaminò, con gli occhiali che gli caddero sulla punta del naso.
"Non vedo l'ora di leggerli" disse, sfogliandoli velocemente "si vede dalla calligrafia che ci ha messo tutta se stessa"
"È così. Scrivo da quando sono bambina"
"Gilbert dice che è incredibilmente dotata. Una nuova Emily Dickinson allora?"
Daisy abbozzò un sorriso.
"Spero più allegra" rispose.
Macmillan rise.
"Dai suoi dossier vedo che ha bisogno di una borsa di studio" disse "perchè Yale dovrebbe scegliere lei, tra tanti studenti che la richiedono?"
Lei lo guardò e per un istante rimase in silenzio.
Avrebbe potuto dire che Yale era stato il suo sogno da quando era bambina, che gli scrittori che preferiva si erano laureati lì e quindi lei voleva emularli, che Yale se ne sarebbe pentita amaramente se non l'avessero scelta perchè sarebbe diventata la poetessa più famosa di tutte.
Tu sei una persona che vale la pena conoscere, Shakespeare, te l'assicuro.
"Scrivere è ciò che mi rende felice, così come leggere" rispose alla fine, nella più completa sincerità "so che Yale offre dei prestigiosi studi di letteratura e sarei onorata di potermi laureare in qualcosa che mi piace così tanto e che qui è spiegata così bene. Se mi prenderete, le prometto che non vi pentirete della vostra scelta. Studiare le parole e il loro significato è tutto ciò che ho sempre desiderato"
Il rettore si limitò a guardarla per un po', sfiorando distrattamente la copertina celeste del quaderno.
Ogni traccia di allegria e divertimento era sparita, sostituita da un'espressione seria e indecifrabile.
Alla fine, il suo volto si aprì in un sorriso.
"Spero di rivederla qui in autunno, signorina Dickens" disse "avrà presto notizie da noi"
Dopo avergli detto fosse stato un piacere fare la sua conoscenza e che sperava davvero di rivederlo in autunno, Daisy uscì dall'ufficio con il cuore molto più leggero.
Quando si rtirovò di nuovo in corridoio, si sorprese nel constatare non fosse deserto.
Nick era appoggiato alla parete, come se la stesse aspettando.
"Tu mi segui per davvero" disse Daisy.
Lui le fece il suo solito sorriso affascinante e si staccò dal muro per raggiungerla.
"È andata bene?" le chiese.
"Lo spero" rispose lei.
Uscirono dall'edificio, ritrovandosi di nuovo nel giardino.
Alla luce del sole era davvero bellissimo: alcune panchine in legno erano disseminate qua e là, perfette per sedersi a leggere un libro o a prepararsi per un esame.
"Il tuo ragazzo non si arrabbierà se facciamo due passi?" domandò Nick, mentre imboccavano un sentiero acciottolato.
Daisy ci mise un attimo a capire che si stava riferendo a Stephen.
"Cosa? No, Stephen non è... cioè, noi non siamo..." balbettò "andiamo a scuola insieme"
Da quando le parole non le venivano spontanee e pronte a soccorrerla?
"Siamo amici" concluse alla fine.
"Mh..." l'altro la studiò, con gli occhi azzurri socchiusi "vedo che è una situazione complicata"
Daisy aumentò il passo.
Non aveva certo intenzione di mettersi ad indagare i propri sentimenti, ciò che provava e non provava per Stephen, con uno sconosciuto.
"Spero di rivederti qui il prossimo autunno" ammise Nick, dopo un po', per cambiare argomento "sai per sparlare dei professori e delle nuove matricole"
"Io sarei una delle nuove matricole" replicò Daisy.
"Ovviamente di te sparlerei alle tue spalle"
Poi Nick indicò con un cenno del capo l'anello di lei che spuntava dal colletto del maglione.
"E spero che arriverai con un altro anello come il tuo come regalo per una tua vecchia conoscenza"
Fece una breve pausa.
"Se non si fosse capito, la vecchia conoscenza sarei io" concluse, con un occhiolino.
Daisy non si era accorta di essersi fermata in mezzo al prato verde e di star fissando Nick.
"Ehi, era solo una battuta" aggiunse lui "sto scherzando"
"Sì" rispose lei "sì, lo so"
Ma quella frase l'aveva... colpita, si potrebbe dire.
Anche se non sapeva per quale motivo, ma era stato così.
Era come se Nick avesse tirato una freccia troppo vicino ad un bersaglio che tecnicamente lui non avrebbe dovuto conoscere.
Dei brividi corsero su e giù per la sua spina dorsale.
"Devo andare" fece Daisy, improvvisamente a disagio "devo raggiungere Stephen per il giro del campus"
Senza aggiungere un'altra parola, scappò via.

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