XIX. Caos

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"Pensi che scopriremo se davvero a Beth piacciono le ragazze come aveva detto Chris?" domandò Stephen.
"Spero proprio che non glielo domanderai, Quarterback" rispose Daisy "quella povera ragazza ne passerà già tante"
Rebecca si alzò, spazzolandosi le mani sporche di gesso sui jeans.
I segni distintivi di Piccole Donne erano stati disegnati intorno al cerchio e i due erano pronti per andare a cercare il quinto oggetto dell'indovinello.
"Cercate di trovare l'oggetto e tornare subito indietro" li redarguì lei.
Daisy alzò gli occhi al cielo.
"Piccole Donne è il libro più sicuro del mondo, mamma" replicò "non ci succederà nulla"
"Non sono preoccupata per il libro in sè" ribattè la donna "sono preoccupata per i problemi che sta avendo Portalia"
Daisy le aveva raccontato solo della divergenza avuto nell'Odissea, omettendo ovviamente la sua visita nel Vuoto per cercare di capirne qualcosa.
Rebecca era arrivata alla conclusione che ciò che stava succedendo a Portalia doveva essere collegato al Blake custodito nel Vuoto e per questo era ancora più preoccupata del solito.
"Magari se rimanete nel libro troppo a lungo poi tornare indietro sarà più complicato" continuò "penso che nessuno di noi voglia che Stephen finisca nel Vuoto senza anello e possibilità di tornare indietro"
"Io di certo non lo voglio" commentò il diretto interessato "mi piacerebbe arrivare al diploma"
"Perciò prima andiamo prima torniamo" concluse Daisy.
Rebecca incrociò il suo sguardo azzurro.
"State attenti" disse.
"Stiamo sempre attenti"
Uscì dal cerchio, in modo che al loro interno vi rimanessero solo Daisy e Stephen.
Lei lo guardò e scoprì ci fosse qualcosa di diverso nello sguardo grigio di lui.
Non sapeva dire cosa, ma il modo in cui la guardava sembrava diverso, come se Daisy fosse stata una complicata equazione e Stephen fosse improvvisamente arrivato alla sua soluzione.
"Andiamo?" domandò.
Per tutta risposta, lui intrecciò le dita alle sue e strinse la presa.
Non lasciar andare, pensò Daisy.
Chiuse gli occhi.
"Tua ancilla sum" disse "ergo, me accipe"
Sentì la terra scomparire da sotto i suoi piedi e quando sentì una scossa, questa volta strinse la stretta di Stephen.
"Non mollare!" gridò, perchè la sua voce non fosse sovrastata dal vento della transizione.
Stephen strinse più forte la mano.
"Non ti lascio" rispose lui.
Daisy sentì la sua voce direttamente nel suo orecchio, come se fossero abbracciati.
All'improvvisso realizzò che oltre alle mani intrecciate, lei sentiva il braccio di lui avvolgerla e tenerla stretta.
Il vento sembrava più forte dell'ultima volta.
Finisci in fretta, pensò.
E poi all'improvviso ci fu silenzio.
Daisy si azzardò ad aprire gli occhi e scoprì di aver il viso nascosto nell'incavo del collo di Stephen.
Si allontanò subito, iniziando a guardarsi intorno per avere qualcosa da fare.
Almeno erano davvero arrivati in Piccole Donne: intorno a loro due vi era una vasta campagna e sullo sfondo una casa modesta, dal cui camino sul tetto usciva del fumo scuro, e accanto una grande villa dallo stile fine ed elegante.
"Ce l'abbiamo fatta" disse lei, con un sospiro di sollievo.
Si rese conto di star ancora stringendo la mano di Stephen, ma quando fece per liberarsi della stretta lui la trattenne.
Lei aggrottò la fronte.
"Daisy" disse Stephen.
"Che c'è?"
I suoi occhi grigi erano completamente seri, quasi come non li aveva mai visti.
No, si disse, non è vero.
Erano stati così quando gli aveva raccontato la verità su Jesse e Cory.
"Devo parlarti" continuò lui, come se non riuscisse a trattenere le parole e allo stesso tempo non sapesse quali scegliere "c'è una cosa che devo dirti"
"E non può aspettare? Per quanto non mi piaccia ammetterlo, mia madre aveva ragione. Non so quanto ci convenga rimanere a lungo dentro un libro"
"Farò in fretta. Si tratta di una cosa davvero importante"
Daisy fece per replicare, ma alla fine rimase in silenzio.
Doveva davvero essere importante, perchè realizzò che l'aveva chiamata con il suo nome e non con il soprannome che le aveva dato.
"D'accordo" disse "ti ascolto"
Stephen non sembrava ancora intenzionato a lasciarle andare la mano, perchè le diede una stretta.
"È da tempo che ci penso ed è arrivato il momento di dirti che-"
"Ehi voi! Siete gli amici di Laurie?" domandò all'improvviso una voce.
Daisy fece sgusciare la sua mano fuori da quella di Stephen e si voltò, pregando di non essere arrossita.
Cosa era stato sul punto di dirle Stephen?
Voleva disperatamente mettere in pausa il momento e tornare indietro per prevenire l'interruzione, ma allo stesso tempo era stata avvolta dal terrore per quello che avrebbe potuto dirle.
Quattro ragazze li stavano osservando: la più alta li guardava con gentilezza, la più piccola con vivace curiosità, una terza nascosta dietro alla prima con timidezza.
E poi ovviamente c'era Jo March, in testa al gruppo, colei che aveva posto la domanda, che li osservava divertita e interessata.
"No" rispose Daisy, sorridendo "stavamo solo facendo una passeggiata. Non conosciamo questo Laurie di cui parlate"
Come sempre, sia lei che Stephen indossavano abiti adatti all'epoca – era stata una vera fortuna che Jesse e Stephen fossero di corporatura simile.
"Be' potremmo rimediare subito" continuò Jo "dopotutto sembrate avere la nostra età"
"Jo!" esclamò quella che doveva essere Meg "Non essere così sfacciata!"
"Infatti, Jo" rincarò la dose la più piccola, Amy "una signorina per bene non si comporta così"
"Oh sta' zitta Amy" ribattè Jo, punta sul vivo "e poi io non ho mai detto di essere una signorina per bene. Io sono il maschiaccio della famiglia, ricordate?"
Meg alzò gli occhi scuri al cielo.
"Noi stavamo andando dal nostro amico Laurie, che abita in quella villa laggù, per fare un pic-nic. Volete unirvi?" domandò ancora Jo.
Stephen e Daisy si scambiarono un'occhiata.
"Ci farebbe davvero piacere" rispose lui.
"Siamo davvero contente" intervenne Meg, a cui stavano a cuore le buone maniere "io sono Meg e loro sono le mie sorelle Jo, Beth ed Amy"
"Piacere, io sono Daisy e lui è Stephen"
Jo si mise subito in marcia verso la villa dei Lawrence, con la sua lingua sciolta a tener compagnia al gruppo.
Ad un certo punto, Daisy si sentì tirare la manica della camicia in pizzo che si era messa e abbassò lo sguardo.
Amy la guardava con i suoi curiosi occhi azzurri.
"Siete fidanzati tu e Stephen?" domandò.
"No" la voce le uscì un po' roca, così si schiarì la voce e riprovò "no, come mai lo chiedi?"
"Vi stavate tenendo per mano quando siamo arrivate"
Per un istante Daisy si immobilizzò.
"Avevo le mani congelate" rispose alla fine, dicendo la prima cosa che le fosse venuta in mente "mi stava aiutando a scaldarle, tutto qui"
"Che cosa dolce!"
Amy lo disse così ad alta voce che Stephen, che camminava qualche metro davanti a loro parlando con Meg, che teneva per mano Beth, si voltò.
Guardò Daisy, inarcando un sopracciglio, curioso.
Lei scosse la testa, come a dire che non fosse niente di importante.
Nel frattempo, avevano oltrepassato il recinto che circondava l'enome villa dei Lawrence e ora un ragazzo esile stava venendo loro incontro.
"Buongiorno ragazze!" esclamò, sorridendo.
Poi il suo sguardo incontrò quello di Daisy e Stephen, di nuovo fianco a fianco, e aggrottò la fronte.
"Perdonatemi, non vi conosco" disse "piacere, io sono Laurie"
"Loro sono Daisy e Stephen" annunciò Jo, con la sua solita fretta "li abbiamo incontrati mentre venivamo qui. Teddy, noi abbiamo portato i panini, tu hai preparato tutto il necessario per il pic-nic?"
Laurie la guardò, divertito.
"Intendi una tovaglia?" replicò, in tono innocente.
Lei assottigliò lo sguardo catsano.
"Laurie"
"Se mi chiami Laurie non è un buon segno"
"Non è mai un buon segno" bisbigliò Amy a Daisy.
Jo gli tirò un pugno sul braccio, non troppo forte ma nemmeno troppo piano.
"Non prendermi in giro!" esclamò "La tovaglia è fondamentale per il pic-nic!"
"Non lo faccio!" Laurie alzò le mani in segno di resa "Ne ho perfino trovata una a scacchi come mi hai chiesto"
Alla fine lei sorrise.
"Bene" rispose.
"Ci sarà da divertirsi" bisbigliò Stephen all'orecchio di Daisy.
Lei sorrise.
Adorava le sorelle March.
"Oh non sapete cosa devo mostrarvi" esclamò Laurie, mentre disponevano tutto il cibo che le sorelle avevano portato sulla tovaglia a scacchi rossi e bianchi.
"Che cosa?" esclamò Amy, guardandolo con i suoi occhioni blu.
"Qualcosa di bellissimo, ma mio nonno non deve sapere che ve lo farò vedere. Perciò dobbiamo aspettare che esca per la sua passeggiata pomeridiana"
Daisy lanciò un'occhiata a Stephen, facendogli capire che avrebbero dovuto iniziare a cercare l'oggetto.
Lei si mise ad ossevare le sorelle March, alla ricerca di qualche oggetto particolare come un braccialetto o una collana, ma non c'era nulla fuori dall'ordinario.
Jo iniziò a parlare della sua nuova idea per lo spettacolo di Pasqua, gesticolando, le guance accese dalla passione.
"Io non mi metterò mai quel vestito di cui parli!" esclamò Meg, quando ebbe finito.
La sorella la guardò strabuzzando gli occhi.
"E perchè mai?" replicò "È tuo"
"Ora appartiene a Beth, perchè a me sta piccolo"
"Saremo solo noi cinque, la mamma e Hanna. Nessuno ti giudicherà perchè ti sta piccolo e poi nessun altro vestito andrebbe bene per quel momento della recita"
"Ho detto che non lo farò"
"È perchè hai invitato anche il signor Booke, vero?" domandò Amy, in tono di chi la sapeva lunga "Non vuoi che ti veda vestita così"
Jo spalancò la bocca.
"Cosa hai fatto?"
"La situazione si sta facendo davvero imbarazzante" commentò Laurie, seduto accanto a Stephen "ho visto mio nonno uscire poco fa. Stephen, mi accompagni a prendere quello che vi devo mostrare?"
"Volentieri" rispose il diretto interessato.
Si alzarono – quasi senza che le sorelle March, tranne Beth, se ne accorgessero – e si avviarono verso l'entrata della villa.
Daisy si ritrovò ad osservare Stephen, mentre camminava.
Si era alzato un leggero vento e i suoi capelli castani stavano venendo scompigliati.
"Non puoi dire che non ti interessa nemmeno un po', Meg!" esclamò Jo, scattando in piedi "Ogni volta che lo incontriamo tu lo guardi come Daisy guarda Stephen!"
Daisy si riscosse, volandosi verso le altre.
Ancora?, pensò, Mi sembra di essere circondata da tanti Gilbert e Chris.
"Siamo solo amici" si difese.
Meg la stava guardando e i suoi occhi nocciola serbavano un velo di paura, come se volesse a tutti i costi credere a quelle parole.
All'improvviso, Daisy si immobilizzò: Meg era davvero innamorata di John Brooke.
E se Jo aveva detto che la sorella guardava l'istitutore privato di Laurie come Daisy guardava Stephen...
Fu Jo, come c'era da aspettarsi, a parlare per prima.
"Gli amici non si guardano in quel modo" disse, con determinazione.
Lanciò un ultimo sguardo alla sorella e poi afferrò la sua borsa, andandosene verso un albero lontano parecchi metri.
Amy lanciò uno sguardo Jo, come d'accusa, ma lei si era già voltata.
Se l'avesse visto, avrebbe potuto pensare fosse uno sguardo d'accusa in solidarietà a Meg, da sempre la sua prefeita, ma Daisy sapeva che quello sguardo significava tutt'altro.
Sentiva di non poter restare un secondo di più lì seduta, con l'eco delle parole di Jo che ancora aleggiava nell'aria.
"Dov'è Beth?" domandò all'improvviso, per cambiare discorso.
"Sarà andata a suonare il pianoforte visto che il signor Lawrence è uscito" rispose Amy "va sempre quando sa che lui non c'è"
Meg stava guardando Jo, seduta ai piedi di un'alta quercia.
Aveva dei fogli adagiati sulle gambe e vi stava scrivendo macchinosamente, come se avesse avuto paura di perdere l'ispirazione, tenendo la boccetta di inchiostro in equilibrio sul ginocchio.
"Forse ho reagito troppo bruscamente" disse Meg, piano.
"Jo esplode sempre per nulla" commentò Amy, sbuffando, assumendo poi un'aria di superiorità.
"Vado a parlarle" esclamò Daisy "con me non è arrabbiata"
Tutto pur di avere qualcosa da fare per distrarsi.
In più, Jo era la protagonista di Piccole Donne, perciò c'erano alte probabilità che l'oggetto che stavano cercando fosse qualcosa di suo.
Le si avvicinò e Jo non alzò lo sguardo fino a che Daisy non si sedette accanto a lei.
"Posso?" domandò.
"Ti sei già seduta" le fece notare.
"Posso rimanere?"
La sua risposta fu un grugnito molto simile ad un assenso.
Sotto il colletto della camicia di pizzo, l'anello cominciò a pizzicare.
Daisy aguzzò tutti i suoi sensi: quale poteva essere l'oggetto?
Il berretto marrone che Jo si era infilata sui capelli castani?
La sua borsa?
"Anche a me piace scrivere" disse ad un certo punto.
Questo catturò l'attenzione di Jo.
"Davvero?" fece "Cosa scrivi?"
"Preferisco la poesia alla prosa"
"Io no" Jo scosse la testa, iniziando a giocherellare con il calamaio "i versi mi sembrano una prigione di regole e obblighi, mentre la prosa è piena di infinite possibilità"
Per la prima volta, Daisy capì perchè lei fosse così brava a scrivere in versi.
Perchè quelle regole e quegli obblighi le davano sicurezza: ogni parola, in una poesia, era sempre al suo posto, come se quello in cui era fosse il posto che le era sempre appartenuto perchè altrimenti il verso non sarebbe mai stato completo.
Daisy doveva scegliere le parole giuste perchè il metro tornasse e perchè tutte le regole fossero rispettate.
Sapeva sempre quale parola sarebbe stata perfetta per quel verso e quale no.
Poteva controllare ciò che sarebbe stato il risultato finale e questo le dava un'incredibile sicurezza.
In un mondo governato dal caos, la poesia era l'armonia di cui Daisy aveva bisogno.
"Nella mia mente la poesia è un labirinto e il poeta è colui che porta il filo di Arianna per trovare la via d'uscita" rispose.
Jo si bloccò, perdendo la presa sul calamaio che cadde a terra, liberando l'inchiostro rimanente.
Imprecò, spostando svelta la gonna in modo che non si sporcasse.
"Se la sporco, Meg mi ammazza" spiegò "però mi è piaciuta davvero tanto la tua metafora"
Daisy rise e si chinò per raccogliere il calamaio.
"Oh, si è rotta la punta" fece.
Quando lo prese in mano, l'anello bruciò per davvero.
"Per fortuna non è il calamaio che mi ha regalato mio padre al mio compleanno l'anno scorso" disse Jo, facendo per prenderlo.
Daisy doveva impedirglielo.
"Che fai?" fece l'altra, quando lei lo allontanò dalla sua presa.
"Ormai è rotto, non puoi più usarlo" disse, in fretta.
"Posso sempre riportarlo a casa"
"E se lo tenessi io? Per ricordarmi di quella gentile ragazza di Concord che mi ha invitata ad un pic-nic. Potrebbe essere il mio filo di Arianna"
Quella similitudine sembrò piacere a Jo, perchè sorrise.
"Va bene" rispose "avevo sempre pensato che Teseo avesse più barba"
Fu la volta di Daisy di sorridere.
"I ragazzi sono tornati!" gridò Amy, scattando in piedi sulla tovaglia.
"Cos'avete portato?" domandò Jo.
Si era dimenticata del litigio con Meg, troppo curisosa di scoprire cosa avesse Laurie da mostrare.
"Guardate!" esclamò lui.
Era una rivoltella incredibilmente elegante, rifinita d'argento e tirata perfettamente a lucido.
"Chissà quante sparatorie ha visto" stava dicendo Laurie, guardandola con attenzione.
"Sembra quasi nuova" disse Stephen.
Daisy si avvicinò agli altri, cercando di attirare l'attenzione di Stephen.
Dovevano tornare a casa ora che lei aveva recuperato l'oggetto.
"Dobbiamo andare, Stephen" esordì.
Tutti si voltarono a guardarla.
"Così presto?" domandò Jo "Non potete aspettare qualche minuto?"
"Sì!" esclamò Laurie "Fingiamo di fare una sfida, Stephen?"
Stephen guardò per un istante Daisy, che stava scuotendo la testa, ma poi si voltò verso l'altro e sorrise.
"D'accordo" disse "facciamo in fretta"
"Potresti fare il bandito e Laurie lo sceriffo che ti deve arrestare!" propose Jo.
Laurie gli puntò contro la pistola.
Una morsa alla bocca dello stomaco accalappiò Daisy.
"Non mi sembra una buona idea" cercò di dire "dobbiamo davvero andare"
"Non succederà nulla" disse Stephen, incrociando il suo sguardo "la pistola non è di certo carica"
"Certo che no" rispose Laurie, un po' indignato.
Ma sembrava maneggiarla con più attenzione di prima.
Quando Jo gridò, facendo la parte della damigella derubata dal bandito – "Vi prego, aiutatemi! Sono stata derubata!" – Stephen iniziò a correre, scappando da Laurie che lo inseguiva.
"Prendilo Laurie!" continuava ad esclamare Amy.
"Sì!" l'assecondava Jo "Per la mia virtù!"
E poi si udì lo sparo.
Fu un suono che parve piegare l'aria intorno a loro, come lo scoppio di un tuono ma molto più vicino.
Non seppero mai perchè la pistola fosse carica o come Laurie avesse fatto a premere il grilletto.
Probabilmente nel correre era inciampato e senza accorgersene aveva sparato.
Daisy sapeva solo che il mondo sembrò mettersi in pausa quando vide Stephen cadere sul prato verde.
Sentiva nelle orecchie la voce di sua madre, dirle che Jesse aveva avuto un incidente e dovevano correre all'ospedale.
Non poteva accadere di nuovo.
"No!" gridò e non riconobbe la voce che le era uscita dalle labbra.
Senza nemmeno aver dato il comando alle sue gambe, si ritrovò a precipitarsi verso Stephen.
Sentiva nelle orecchie la voce del dottore, dirle che suo fratello non ce l'aveva fatta, che aveva combattutto ma non era stato sufficiente.
Non poteva accadere di nuovo.
"Mi dispiace, io..." balbettò Laurie, andandole incontro.
Era pallido come un fantasma, stava tremando e sembrava essere completamente smarrito.
Daisy lo spinse via, gettandosi accanto a Stephen.
Era sdraiato, circondato da fili di erba verde, e aveva gli occhi chiusi come se stesse dormendo.
"No, no, no" mormorò lei "apri gli occhi"
Prese a scuotergli le spalle, convulsamente, come se potesse indurlo a svegliarsi.
"Non provare nemmeno a morire, Quarterback" disse, con rabbia "non ci pensare nemmeno, hai capito? Questa non te la perdonerò mai"
Stephen rimaneva immobile.
Daisy gli scostò i capelli arruffati dalla fronte, carezzandogli il viso.
"Svegliati" disse e la voce le si spezzò.
Aveva la vista appannata dalle lacrime, anche se non si era accorta di aver iniziato a piangere.
Registrò distrattamente la presenza delle sorelle March, che cirondavano Laurie, che si tenevano a distanza come se avessero avuto paura di avvicinarsi, di fare qualsiasi cosa.
Daisy pensò che avrebbe dovuto dire di andare a chiamare un dottore, ma la sua mente non sembrava riuscire a trattenere alcun pensiero logico.
E poi a cosa sarebbe servito?
Nel diciannovesimo secolo non c'erano di sicuro ambulanze e se anche avessero chiamato un dottore, sarebbe stato troppo tardi.
Daisy aveva paura di chinarsi per sentire se il cuore di Stephen batteva ancora.
Non poteva accadere di nuovo.
Quante altre persone avrebbe dovuto perdere?
Questa volta non l'avrebbe lasciato andare facilmente.
"Torna" bisbigliò "torna da me, Stephen. Per favore, torna da me"
Parole vuote, eco di quelle che lui le aveva detto quando lei era svenuta in biblioteca.
Una preghiera, una supplica.
Si chinò sul suo petto, chiudendo gli occhi, bagnandogli la camicia di lacrime.
"Non lasciarmi" bisbigliò, con la voce più leggera di una piuma.
La sua mano scivolò in quella di lui e la strinse.
Stephen ricambiò la stretta.
"Non vado da nessuna parte, Shakespeare" disse una voce al suo orecchio.
Daisy si tirò su di scatto, buttando fuori il fiato che non si era accorta di star trattenendo.
Stephen la stava guardando con i suoi occhi grigi.
In quel preciso istante, Daisy realizzò che la sua camicia era completamente immacolata, senza alcuna traccia di sangue o di alcuna ferita visibile.
Tranne un minuscolo forellino sulla stoffa poco sopra il cuore.
Com'era possibile?
"Sto bene" disse Stephen.
Anche la sua voce era forte.
"Non ti ho colpito?" domandò Lauire, avanzando di un passo.
Il sollievo era dipinto sul suo viso pallido.
"No"
Daisy si spostò, in modo che Stephen potesse alzarsi in piedi.
Lei lo imitò, scacciando le lacrime dalle guance.
Non sapeva se avesse voglia di abbracciarlo e non lasciarlo andare più oppure sparargli per davvero.
"Mi hai mancato" spiegò Stephen "mi devo essere spaventato al suono dello sparo e sono inciampato"
Ma non era la verità.
Daisy riuscì a impedire al proprio corpo di tremare e, con la mente un po' più lucida, realizzò che probabilmente i viaggiatori nei libri erano protetti: non potevano morire, per questo il proiettile aveva colpito Stephen ma poi era scomparso senza fargli del male.
"Per fortuna è stato solo un brutto spavento" disse Jo, senza traccia di divertimento nella voce.
"Bruttissimo" mormorò Meg.
Daisy notò che le due sorelle si stavano tenendo per mano, perciò dovevano aver fatto pace senza nemmeno accorgersene.
"Daisy ha ragione" concluse Stephen "dobbiamo andare ora"
Dopo essersi salutati – Stephen assicurò più volte a Laurie che lo perdonava, perchè non l'aveva fatto apposta – Daisy e Stephen ripercorsero il sentiero a ritroso, nascondendosi alla vista degli altri grazie ad alcuni alberi.
"Daisy" le disse, una volta lontani "per prima..."
"No" lo bloccò "torniamo a casa"
Il suo sguardo doveva valere più di mille parole, perchè Stephen rimase in silenzio.
Daisy gli prese la mano e disse la formula magica per tornare indietro.
Quando furono di nuovo al sicuro nella sala circolare, lei sciolse l'intreccio delle loro mani con uno scatto e quasi lo spinse lontano da sè.
"Cosa ti è saltato in mente di fare prima?" sbottò, alzando la voce "Hai idea di quanto fosse stupido ciò che hai fatto?"
"So che non avrei dovuto farlo, ma..." iniziò Stephen, ma lei era un fiume in piena.
"Già, è proprio così. Non avresti dovuto farlo, eppure lo hai fatto lo stesso"
Lo guardò con gli occhi azzurri che parevano fiammeggiare.
"Sapevi che saremmo dovuti tornare indietro non appena avessimo trovato l'oggetto, ma te ne sei fregato!"
"Quindi è per questo che sei arrabbiata?" scattò lui "Perchè ho perso tempo nella missione? Perchè per una volta ho provato a divertirmi e godermi l'esperienza di essere dentro un dannatissimo romanzo?"
"Ti senti quando parli? Credi che io sia arrabbiata per questo, sul serio? Credevo mi conoscessi meglio"
"Come faccio a conoscerti se tu non ti apri con me?"
"Sei quasi morto!" gridò Daisy.
Stephen aprì la bocca e poi la richiuse, ammutolito.
"Sei quasi morto tra le mie braccia, tutto per uno stupidissimo gioco a cui hai accettato di partecipare senza pensarci due volte sebbene ti avessi detto fosse una brutta idea! Tu non pensi prima di agire e questo avrebbe potuto ucciderti!"
"Lo sparo mi ha colpito, ma sto bene. Non possiamo morire dentro Portalia"
"Tu non ne avevi idea, così come non ne avevo io! Non è questo il punto, Sephen, maledizione. Ti sei buttato in una situazione pericolosa senza pensarci due volte e senza alcun motivo valido per farlo, lo capisci? Come posso fidarmi di te ancora per questa missione? Come posso pensare che ci proteggeremo a vicenda quando sembro io l'unica a cercare di farlo?"
Daisy trattenne il fiato.
Le parole le erano uscite dalla bocca prima che se ne rendesse pienamente conto.
Non intendeva quello che aveva detto, ma ormai era troppo tardi.
"Quindi è così?" fece Stephen, con la voce calma come la superficie di un lago, fredda come il ghiaccio "Non ti fidi più di me? Non credi che io sia in grado di proteggerti, di guardarti le spalle, se arriverà il momento? Non ti fidi più?"
Daisy sostenne il suo sguardo.
Sentiva un groppo in gola e gli occhi pungere, ma non avrebbe pianto.
Il suo orgoglio, il suo maledetto orgoglio, non gliel'avrebbe mai permesso.
Stephen annuì, come se avesse appena avuto una conferma che non si aspettava di ricevere o che sotto sotto aveva sempre temuto di ricevere.
"Avresti potuto dirlo tanto tempo fa" disse solo "avresti risparmiato ad entrambi tanti problemi"
Senza aggiungere altro, la superò e uscì dalla sala circolare.
Daisy si voltò, seguendolo con lo sguardo, raggiungendo la soglia della stanza.
Sulla punta della lingua aveva il suo nome già formato, il fiato che riempiva i polmoni per chiamarlo, per dirgli che le dispiaceva, per dirgli che avrebbe aggiustato le cose, per dirgli di tornare indietro.
Ma lei non ci riuscì.

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