XXI. Frammenti d'anima

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Lilly

Tic-tac. Tic-tac. Tic-tac.

Un rumore pungente entrava nelle orecchie, ascoltai la perfezione del ticchettio che proiettava l'orologio con gli occhi chiusi, muovendo i muscoli pietrificati.

Il corpo più rigido della pietra.

Socchiusi gli occhi per via della luce bianca illuminare una stanza priva di mobili particolari, di elettrodomestici, di quadri, priva di tutti i beni di una stanza casalinga; gettai lo sguardo a un mobiletto con un mazzo di fiori. Lavanda, ci si rilassa con essa.

Accanto a me una finestra, ero in un piano alto, scrutavo il panorama da sdraiata e tutto il mal tempo entrare nella stanza in maniera nostalgica; si aggiunse il rumore di un qualcuno presente nella stanza, alla mia sinistra c'era un paziente sveglio che mi fissava.

Dove diamine ero finita.

《Per tutte le anime del purgatorio, allora sei viva! Ti credevo nell'altro mondo》 non fiatai.

Mi mancavano le parole e, se avessi voluto, non sarei riuscita a pronunciarle.

Prendendo conoscenza, notai le dita delle mani tremare stringendo persino quelle dei piedi, poco a poco stavo riprendendo i sensi.

《D-dove..sono?》chiesi all'adulto coperto da un camice.

《In un manicomio ragazza, i vicini di stanza sono dei veri psicopatici.》

Lo guardai legata dalla testa ai piedi da aghi e il fornitore di ossigeno arrivare dritto dal naso.

Provai a soffocare una risatina, su un letto d'ospedale potevo essere al sicuro.
Forse, la mia fuga è solo stata un brutto sogno, Jake poteva essere qui ad aspettarmi. Ma non lo vedevo da nessuna parte.

Serrai le palpebre ascoltando la porta aprirsi, un carrello veniva trascinato con il tintinnio dei piatti seguito dopo.

《Allora Roger, come si sente?》sperai nello sconosciuto, non doveva dire niente del mio risveglio.

Una voce femminile, calma e pacata, rassicurò il paziente sul pranzo avvisandolo dell'orario prescritto per prendere i medicinali.
Ci fu un leggero battibecco prima che due mani congelate toccarono le braccia spingendo l'ago che avevo dentro la vena, tentai di non gemere senza strizzare gli occhi per non farmi scoprire. Se volevo andarmene, dovevo farlo alla svelta.
Non appena la porta si chiuse, la libertà spinse le energie sufficienti per alzarmi; tolsi tutto quello che avevo conficcato poggiando i piedi per terra, ma per poco non caddi.

《Giovani..scappare con cibo gratis, coperte pulite e antidolorifici》risi controllando la mia cartella clinica attaccata al bordo del lettino.

Nome, cognome, data di ricovero, presunta uscita e patologie.

Una fitta alla testa mi colpì, avevo tutto il capo fasciato e il ventre più gonfio.

C'eravamo riusciti.

Osservando gli infermieri andare dal corridoio a sinistra, mi orientai a destra; salutai il mio vicino buttando la coda dell'occhio alla sua cartina clinica: schizofrenico. Ora capisco perché non trovavo vicini.

Mi avvenutarai, toccando ogni tanto la benda, la sentivo umida come se mi stesse prosciugando, gli occhi erano pesanti, a malapena sapevo mettere un piede davanti all'altro; avevo bisogno di una spalla, un sostegno che non era da nessuna parte.

《Un paziente sta scappando!》i miei dolori vennero sfocati con le urla degli infermieri.

Cominciai a zoppicare verso le scale del piano inferiore per poi riprendere la corsa, presi fiato con la bocca guardandomi le spalle, non sapevo che davanti a me ci sarebbe stata la prima trappola mortale.

Lilly's silenceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora