47. The Lovely Bastard

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Quando mi sveglio, la stanza è completamente e irrimediabilmente vuota.

Vorrei potermi dire sorpreso, quantomeno, ma non lo sono.

Non mi aspettavo granché di diverso.

"Church?" chiamo, senza troppa convinzione, giusto per sincerarmi che non sia in bagno.

Silenzio.

"Fottuto bastardo" mugolo, atono, rifugiando nuovamente la testa nel cuscino.

I miei muscoli sono indolenziti, tirano e dolgono a ogni accenno di movimento, e se aprissi gli occhi sono quasi certo che potrei mappare i lividi che ricoprono il mio corpo.

Mi fa male la testa, un dolore che è più un tremendo ruggito, e una vaga sensazione di nausea mi stringe lo stomaco.

Dovrei averlo capito, a vent'anni, che l'alcol e le botte non fanno per me. Chissà perché mi ostino a provarci.

Sbuffo, ancora restio ad allontanarmi dalle coperte.

I bottoni della camicia mi raschiano sul petto, e la cerniera dei pantaloni è maledettamente fastidiosa contro la pelle.

Dovrei alzarmi, se non altro per mettermi comodo.

Scorro un po' più avanti sul letto, avvicinandomi al bordo, ma la ragione per cui lo faccio è molto meno logica di così.

"Fanculo" borbotto contro me stesso, affondando il naso nel bordo del cuscino, laddove è ancora impregnato del profumo di Churchill.

Il bastardo non meriterebbe niente di tutto ciò.

Ma è un bastardo con un profumo maledettamente buono.

Mi rassegno ad assecondare i miei impulsi, le piccole e deliziose torsioni del mio stomaco che si fanno più insistenti man mano che l'odore penetra i miei polmoni.

Inspiro a fondo, a occhi chiusi, mentre sprazzi della scorsa serata mi si ripresentano alla mente, come fulmini nel cielo notturno.

I miei ricordi sono ancora perfetti, solo un po' più confusi sul finale.

Ricordo di aver stretto le braccia intorno al collo di Churchill, senza ragionare troppo, e di aver lasciato che i miei dubbi morissero nella sua bocca.

Mi ero lasciato zittire, forse, più che baciare.

Sul momento la questione non era sembrata così rilevante, non quando la lingua di Churchill aveva preso a carezzarmi dolcemente l'arco interno delle labbra.

Ci eravamo stesi a letto, senza darci pena di togliere i vestiti, e non ci eravamo più mossi da lì.

Lo avevo baciato ancora a lungo, cullando la linea dolce della sua mandibola tra le dita, e lui non mi aveva permesso di allontanarmi.

Non che avessi voglia di andare da qualche parte, comunque: baciare Churchill era la cosa più straordinaria che avessi mai fatto.

Era bello in senso opprimente.

L'aria si faceva soffocante e il mondo... il mondo semplicemente smetteva di esistere.

Era tutto lì: sulle sue labbra.

Le case, gli alberi, i viaggi che avrei voluto fare e le prime luci dell'alba. Tutto.

Non avevo più provato a parlargli, ovviamente, nel timore che le parole sbagliate potessero indurlo ad allontanarsi da me.

Nel mio ultimo ricordo, ho le labbra ancora sulle sue.

Che errore stupido.

Io lo conosco, cazzo.

𝐀𝐔𝐃𝐄𝐍𝐓𝐄𝐒 𝐅𝐎𝐑𝐓𝐔𝐍𝐀 𝐈𝐔𝐕𝐀𝐓 - mclennonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora