61. The Ghost of Christmas Past

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Aspetto qualche minuto, prima di uscire dal bagno.

È come tornare al liceo: la ragazza che ho trascinato in una stanza che si raccomanda di uscire almeno un quarto d'ora dopo di lei, l'adrenalina che segue al fare qualcosa di segreto e probabilmente sbagliato.

Ma non c'è una ragazza, stavolta.

Ci sarà Churchill con i capelli ancora spettinati dalla stretta delle mie dita, i suoi occhi che brillano sotto il riflesso argenteo della luna e i primi due bottoni della camicia slacciati.

Mi sorriderà, nel vedermi arrivare, il suo braccio che si incastra immediatamente sulle mie spalle, e mi sfilerà dalla bocca la prima sigaretta che tenterò di accendere.

Non so come fai a fumare questa merda, commenterà, la Winston che pende dalle sue labbra e io altrettanto.

Sento gli angoli della bocca tirare verso l'alto, la mia espressione che si riflette nello specchio e mi fa sorridere ancora di più.

Non riconosco il ragazzo che ricambia il mio sguardo, e forse per questo mi è così facile sorridergli.

I suoi occhi brillano di un verde intenso sotto la luce accecante dei neon, le sue guance sono più rosee di quanto le mie siano mai state.

È sempre stato questo, il mio aspetto?

Lo guardo ancora, questo sconosciuto che certamente non può essere Paul McCartney, e sento di provare dell'affetto per lui.

Il sorriso che ha stampato in volto lo fa sembrare più piccolo di quel che è, di gran lunga più innocente, magnificamente più felice.

E non riesco ad odiarlo.

Distolgo lo sguardo prima che l'incantesimo si rompa, perché io conosco il buio e lo sporco e il tormento che perseguitano quel ragazzo, e che sono destinati a raggiungerlo ancora. Sempre.

Ma ancor più forte di questi pensieri, di nuovo, l'immagine di Churchill che mi aspetta -impaziente, mi rimprovererà di averci messo troppo- a lenire ogni sensazione negativa, come unguento sulle ferite.

Neanche trovarmi davanti il bel volto di Stuart Sutcliffe, non appena fuori dalla porta del bagno, riesce a far vacillare il mio sorriso.

Lui sussulta, invece, e allarga immediatamente le mani in un gesto di istintiva difesa.

"Ehy" lo richiamo, seppur malvolentieri. "Mi dispiace, va bene? Non dovevo reagire in quel modo"

"No, infatti" concorda. Tormenta con le dita la collanina che porta al collo, ed è evidentemente teso. "Non dovevi e non ce n'era nessun bisogno, in ogni caso. Non c'è mai stato"

"Ho esagerato" ammetto, tendendogli una mano. "Tutto ok?"

Mi rivolge un accenno di sorriso, un'espressione a metà tra la benevolenza e il bieco fastidio, e incrocia le braccia al petto.

"È esattamente questo a cui mi riferivo" commenta, sarcastico. "Tu non capisci. Non c'entro io. Non ce n'era bisogno e basta. Per lui ci sei solo tu, sempre. È così evidente che fai venire voglia di prenderti a schiaffi"

Combatto l'istinto di sorridere mentre mi stringe la mano.

"Non sei poi così male, Sutcliffe" concedo, strappandogli una mezza risata.

"Neanche tu" ammette a sua volta. "Almeno quando non cerchi di pestarmi. Sei solo terribilmente stupido"

"Sta' alla larga dal mio amico e non credo avremo problemi" gli consiglio, ma con una certa leggerezza.

"Brian mi aspetta al nostro tavolo" risponde, sullo stesso tono. "Le cose vanno bene, sai. Non avrei fatto niente. E, comunque, siete già in troppi anche senza di me"

𝐀𝐔𝐃𝐄𝐍𝐓𝐄𝐒 𝐅𝐎𝐑𝐓𝐔𝐍𝐀 𝐈𝐔𝐕𝐀𝐓 - mclennonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora