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Margherita

Il periodo più assurdo, esilarante, e adrenalinico della mia vita ebbe inizio in un modo del tutto strano.

Gian ed io iniziammo quella nuova relazione (era difficile persino pensarlo) con tutte le premesse della follia.

Continuò a darmi lezioni private di difesa. Ma quelle lezioni assunsero un tono ed una connotazione del tutto diversa da quelle precedenti. Non c'era più un' attrazione sopita, ma c'era la brama. Non c'era più il rumore silente dell'imbarazzo. C'era complicità, voglia, orgoglio. C'era l'ardore. C'era una conoscenza ormai pregressa fra noi. Lui sapeva quanto amavo sentirmi sfiorare il collo con il suo respiro; ed io sapevo come fargli perdere il controllo con dei semplici tocchi leggeri.

Di tanto in tanto, riuscivo ad incontrarlo lungo i corridoi e anche solo scambiarsi un'occhiata d'intesa riusciva a mettermi un brivido sulla pelle. E quel brivido lo trasportavo con me fin quando ci incontravamo in qualche anfratto o in qualche angolo recondito per sfogare tutta il desiderio e la passione emersa nel nostro animo.

Molte volte avevamo rischiato che qualcuno ci vedesse. Ma alla fine il riuscire a cavarsela rendeva la cosa sempre più eccitante.

Un giorno passò a prendermi al solito posto. Trascorremmo l'intera giornata lontano da scuola. Era la seconda volta che saltavo la scuola per trascorrere una giornata con lui, ma la cosa non mi dispiaceva affatto. Inoltre, ero ancora in attesa di una risposta da parte dell'università. Speravo che quello elaborato avesse avuto il giusto effetto. Speravo di poter fuggire via a breve da quel quartiere e magari portare con me anche Gian. E poi, solo in un secondo tempo, ovviamente tutta la mia famiglia. 

Mi crogiolavo nelle mie giornate all'insegna dell'adrenalina. Condividevo baci, carezze, abbracci e anche l'incarnazione più alta dell'amore con lui e mi bastava. Gian era diventato d'un tratto il centro delle mie giornate. Il mio senso vitale. Il mio sprono. Il mio sorriso. La mia voglia vera, il mio desiderio nuovo del noi.

Mi condusse in uno stretto viottolo, e alla fine di questo viottolo c'era un ruscello.

Ci lasciammo cadere sull'erba e ci godemmo per almeno un'ora quel silenzio, quella pace dei sensi. I rumori della natura.

Ad un tratto presi coraggio e gli feci la domanda che tanto desideravo fare da tempo.

"Se dovessi partire...mi seguiresti?"

Mi fissò perplesso. E allora cercai di fornire spiegazioni riguardo l'elaborato che avevo inviato. Lui comprese e abbozzò un sorriso.

"Credo che sia arrivato il momento che ti dica chi sono!" disse.

Ora sembrava tutto incredibilmente chiaro. Mi aveva condotto sin lì per raccontarmi la verità. Per essere certo che nessuno potesse vederci, o ascoltarci.

Non mi sentivo pronta, ma lui parlò d'un fiato con un enorme sorriso.

Era felice di condividere quel segreto con me. Ed io ero felice.

"Sono un agente sotto copertura!" ammise.

Strabuzzai gli occhi. Sembrava una cosa pericolosa.

Non mi lasciò tempo di replica. Prese a raccontare la sua vita. Mi raccontò di quando era bambino, di quando suo padre aveva strattonato sua madre. Di quando, preso dalla paura del momento, aveva desiderato poterla proteggere. Mi raccontò del sentimento che lo aveva accompagnato durante la crescita e, mi raccontò di quando aveva deciso di iniziare questo percorso arduo. Era diventato un vero nomade. Non aveva una fissa dimora. A causa del suo lavoro non aveva reali contatti sociali, nessuna relazione. Mi disse anche che nessuno era mai stato abbastanza all'altezza da tenerlo fermo in un luogo. Aveva scelto sempre le sue missioni segrete. A discapito di una vita normale. A discapito di relazioni vere. 

Fuoco Nell'AcquaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora