undici

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Harry Styles.

Entrammo insieme nel laboratorio di biologia, sotto gli sguardi di tutti

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Entrammo insieme nel laboratorio di biologia, sotto gli sguardi di tutti. Ci accomodammo al tavolo degli esperimenti, e notai come Louis non restasse più a distanza di sicurezza, sull'orlo della seggiola. Anzi, seduto al mio fianco, quasi mi sfiorava con il gomito.

Ma ecco spuntare il professor Banner - che tempismo perfetto, quell'uomo - intento a spingere un alto trespolo di metallo che reggeva un televisore pesante e datato e un videoregistratore. Oggi, lezione con video: il sollievo collettivo della classe era tangibile.
Il professore infilò un nastro nel videoregistratore recalcitrante e andò a spegnere le luci.

In quel momento, al buio, fui sconvolto dalla consapevolezza che Louis era seduto a pochissimi centimetri da me. Ero stupito dall'elettricità imprevista che mi sentivo scorrere dentro, meravigliato di poter avvertire la sua presenza ancora più del solito. Fui quasi vinto dal folle impulso di cercarlo, toccarlo, accarezzare il suo viso stupendo almeno una volta, nell'oscurità. Incrociai le braccia badando a tenerle strette e strinsi i pugni. Stavo per impazzire.

I titoli di testa irradiarono nella stanza un bagliore leggero. I miei occhi, automaticamente, cercarono lui. Sorrisi come uno stupido, quando mi accorsi che la sua postura era identica alla mia, i pugni stretti sotto le braccia incrociate, gli occhi che sbirciavano me. Ricambiò il sorriso, il suo sguardo riusciva a brillare anche al buio. Guardai altrove, per non rischiare di andare in iperventilazione. Era assolutamente ridicolo sentirmi tanto elettrizzato.

L'ora di lezione sembrò molto lunga. Non riuscivo a concentrarmi sul filmato, non sapevo nemmeno di cosa parlasse. Cercai di rilassarmi, ma senza risultato: la corrente elettrica che sembrava provenire da qualche parte del suo corpo rimase costante. Di tanto in tanto mi concedevo un'occhiatina verso di lui, che appariva altrettanto incapace di rilassarsi. Anche lo spropositato desiderio di toccarlo non accennava a spegnersi e mi costrinse a serrare le dita contro le costole fino a sentirle indolenzite.

Quando il professor Banner riaccese le luci in fondo alla classe, mi lasciai scappare un sospiro di sollievo e stirai le braccia, muovendo di nuovo le dita irrigidite. Louis ridacchiò.

«Be', interessante». Il suo tono di voce era cupo, lo sguardo pieno di cautela.
«Mmm», fu l'unica risposta di cui fui capace.
«Andiamo?», chiese, alzandosi con grazia.
Quasi mi feci sfuggire un grugnito. Ora di ginnastica. Mi alzai con attenzione, preoccupato che quella nuova e strana intensità avesse danneggiato il mio equilibrio.

Louis mi accompagnò in palestra senza parlare, e appena si fermò sulla soglia mi voltai per salutarlo. La sua espressione era inquietante: sembrava lacerato, quasi dolorante, di una bellezza tanto fiera da farmi sentire il desiderio di toccarlo con la stessa violenza di poco prima. Il saluto mi rimase in gola.

Sollevò la mano, indeciso, esitante, stava combattendo con se stesso; accarezzò svelto il profilo della mia guancia, con la punta delle dita. La sua pelle era ghiacciata come sempre, ma la traccia che lasciò sul mio viso era bollente, una scottatura che non provocava dolore.
Si voltò senza parlare e si allontanò a grandi passi.

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