MATURE CONTENT. (IN REVISIONE)
Quando la mamma di Harry si risposa e manda a vivere il figlio con il padre, nella piovosa cittadina di Forks, a Washington, Harry non prevede affatto che la sua vita possa subire grandi cambiamenti.
Almeno fino a qua...
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Mi risvegliai confuso. Avevo la testa annebbiata, affollata di sogni e incubi. Impiegai più del dovuto per rendermi conto di dove fossi.
Una stanza così anonima poteva trovarsi soltanto in un albergo. Le abat-jour fissate ai comodini erano un indizio inconfutabile, e così le tende dello stesso tessuto del copriletto e le stampe appese alle pareti.
Mi sforzai di ricordare come ci fossi arrivato, ma non mi veniva in mente nulla. Poi ricordai l'auto nera, elegante, con i finestrini più scuri di quelli di una limousine. Il motore quasi non si sentiva, benché sfrecciassimo sulle autostrade buie a più del doppio del limite di velocità.
E ricordavo che Niall era seduto al mio fianco sul sedile posteriore. Chissà come, durante la lunga notte, avevo posato la testa contro il suo collo granitico. Non si era mostrato affatto stupito di quella vicinanza, e la sua pelle dura e fresca mi metteva stranamente a mio agio. Il colletto della sua camicia di cotone si era fatto umido e freddo, inzuppato dal fiume di lacrime che mi sgorgò dagli occhi finché non si furono prosciugati, restando rossi e pesti.
Ero rimasto a lungo insonne; le mie palpebre esauste rifiutavano di chiudersi, benché la notte fosse finita e dietro la cima di una montagna bassa, da qualche parte in California, si intravedesse l'alba. La luce grigia che colorava il cielo terso mi accecava. Ma i miei occhi non cedevano: se solo li chiudevo, riaffioravano immagini troppo vivide, intollerabili, come diapositive nascoste sotto le palpebre.
L'espressione affranta di Des... il ringhio brutale di Louis a denti scoperti... lo sguardo sprezzante di Zayn.
E poi il modo in cui il segugio ci scrutava, acuto e all'erta, e la morte negli occhi di Louis dopo quell'ultimo bacio... Non riuscivo a sopportare di rivedere tutto questo. Perciò mi sforzai di combattere contro la stanchezza, e il sole si alzò.
Quando attraversammo uno stretto valico di montagna, e il nuovo giorno illuminò i tetti di mattoni della "valle del sole", ero ancora sveglio. Se mi fosse rimasta qualche emozione, mi sarei sorpreso a scoprire che eravamo giunti in Arizona in un giorno solo, anziché in tre. Osservavo l'ampia distesa pianeggiante vuota di fronte a me. Phoenix: le palme, gli arbusti bassi e i cespugli odorosi di creosoto, le linee tracciate a caso dall'intersezione delle autostrade, le macchie verdi dei campi da golf appena rasati, le pozzanghere turchesi delle piscine; il tutto sommerso da uno smog sottile e abbracciato dalla breve catena di creste rocciose, troppo basse per poterle chiamare montagne.
Il sole gettava sull'asfalto le ombre oblique delle palme, definite, più aguzze di quanto ricordassi, più chiare di quanto avrebbero dovuto essere.
Dietro quelle ombre non poteva nascondersi nulla. L'autostrada luminosa e aperta sembrava un luogo benevolo. Ma non provavo alcun sollievo, non era un vero ritorno a casa.
«Qual è la strada per l'aeroporto?», aveva chiesto Lily, spaventandomi, malgrado la sua voce bassa e tranquilla. Fu il primo suono, a parte le fusa del motore, a spezzare il lungo silenzio di quella notte.