dieci

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Harry Styles.

Il mattino dopo, fu davvero difficile persuadere la parte di me che credeva di avere sognato tutto

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Il mattino dopo, fu davvero difficile persuadere la parte di me che credeva di avere sognato tutto. Né la logica né il buonsenso erano dalla mia parte.
Cercavo un appiglio nei particolari che non potevo avere sognato: il suo profumo, ad esempio. Ero sicuro che quello non potesse essere soltanto una mia invenzione.

Fuori dalla finestra il panorama era scuro e nebbioso, assolutamente perfetto. Non aveva scuse per non presentarsi a scuola. Indossai abiti pesanti, visto che - ricordai - ero rimasto senza giubbotto. Ulteriore prova che la memoria non m'ingannava.

Sceso al piano di sotto, non trovai Des: ero molto più in ritardo di quanto pensassi. Ingoiai una barretta di cereali in tre morsi, la innaffiai con un po' di latte, bevendolo direttamente dal cartone, e mi affrettai a uscire.

Con un po' di fortuna, avrei trovato Nora prima che iniziasse a piovere.
C'era molta più nebbia del solito; l'aria sembrava densa di fumo. La foschia aderiva ghiacciata sulla faccia e sul collo. Non vedevo l'ora di accendere il riscaldamento del pick-up. La visibilità era talmente scarsa che percorsi alcuni metri sul vialetto senza accorgermi che un'auto lo occupava: un'auto grigia, metallizzata. Il mio cuore iniziò a martellare, incespicò, e riprese raddoppiando il ritmo dei battiti.

Non capivo da dove fosse spuntato, ma di colpo eccolo lì che mi apriva lo sportello e m'invitava a salire.
«Hai bisogno di un passaggio?», chiese, divertito dalla mia espressione, consapevole che per l'ennesima volta mi aveva colta di sorpreso. Non sembrava troppo convinto della sua proposta. E non stava tentando di convincermi: ero libero di rifiutare, e forse una parte di lui sperava lo facessi.
Speranza vana.

«Sì, grazie». Cercai di non tradire l'agitazione. Al caldo dell'abitacolo, notai il giaccone di pelle appeso al poggiatesta del passeggero. La mia portiera si chiuse e, prima di quanto ritenessi possibile, Louis si sedette al mio fianco e mise in moto.

«Ti ho portato questo. Non volevo che ti prendessi un raffreddore o qualcosa del genere». Stava sulla difensiva. Indossava soltanto una maglia leggera grigia a maniche lunghe, con scollo a V. Il tessuto aderiva al suo torace muscoloso e perfetto. Che io riuscissi a distogliere lo sguardo dal suo corpo era la dimostrazione della bellezza inaudita del suo viso.

«Non sono così delicato», risposi, ma accettai la giacca e la tenni in grembo, infilando le braccia nelle maniche troppo lunghe, curioso di verificare se il profumo fosse davvero buono come lo ricordavo. Era anche meglio.

«Ah, no?», ribatté con una voce tanto bassa che non capii se volesse farsi sentire.

Percorrevamo le strade della città sature di nebbia, velocissimi come sempre, e impacciati. Io, perlomeno, lo ero. La sera prima, tutti i muri erano caduti...quasi tutti. Non sapevo se quel giorno saremmo stati altrettanto sinceri. Questo mi lasciava interdetto, incapace di parlare. Attesi che fosse lui a farlo.

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