9. «Fai finta che niente può ferirti.»

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«Vaffanculo.» sentii urlare, svegliandomi di soprassalto. Mi guardai intorno, la stanza era buia, mentre al di fuori della stanza si sentivano vetri rompersi e qualcuno parlare; guardai l'orario dal mio telefono, le 4:30 del mattino.

«Frère, c'è Marika che dorme di là, calmati.» sentii dire. Decisi di aprire la porta di camera mia, in modo da poter sentire più chiaramente e vedere chi ci fosse in salotto.

«Come cazzo faccio a calmarmi, Amine?.» disse in un sussurro Anas, con le mani sul capo. «Se facciamo come ci ha ordinato Mattia moriremo, lo sai benissimo.»

A questa frase sentii il cuore fermarsi e gli occhi inumidirsi. Non ho mai ben capito il perché Mattia fosse il capo del gruppo, ma ognuno della compagnia pendeva dalle sue labbra, facendo ogni minima cosa gli ordinasse.

«Non possiamo nemmeno sottrarci, lo sai.» disse Amine, tirando sù la manica della sua felpa, lasciando intravedere il suo braccio, dove c'era un tatuaggio con un 7. «Quella notte ci siamo promessi che avremmo fatto tutto insieme, fin quando non saremo stati tutti bene.»

«Quando Mattia capirà che quelli di Milano Ovest sono più forti di noi saremo già in una bara.» disse mio fratello, scuotendo la testa. «Non capisco il perché, insomma, non possiamo tornare a vendere normalmente, senza più conflitti?.»

«Ci hanno messo i piedi in testa Anas.» disse Amine, posando le mani sulle spalle del suo amico. «Ci siamo alleati con i ragazzi di Lecco, siamo più forti adesso.»

Vidi mio fratello scuotere il capo, portandosi una mano in faccia, per poi iniziare a singhiozzare.
Amine lo attirò a sé in un abbraccio, sussurrandogli qualcosa all'orecchio, a me incomprensibile.

Il dolore e la frustrazione nelle parole di Anas erano palpabili, mentre Amine poteva sembrare a tutti così calmo e autoritario; tutti, ma non a me.
La sua gamba tremava solamente quando era in ansia o stava per piangere, mentre i suoi occhi erano leggermente umidi.

«Occhio per occhio, dente per dente. Nulla di più.» fu l'ultima cosa che sentii, per poi richiudere la porta.

Mi sedetti su una sedia, portandomi le mani in faccia, ancora incredula a ciò che avevo appena sentito. Presi una sigaretta dal mio pacchetto e la accesi, avevo bisogno di smettere di pensare per un po'. Sbuffai il fumo fuori dalla mia bocca, osservando il cielo, che si colorava dei primi colori dell'alba.

Sentii il cigolio della porta, segno che qualcuno fosse entrato in camera. Il profumo da uomo di Amine mi pervase le narici, facendomi rilassare.
Vidi il moro sedersi sul letto, osservandomi silenziosamente, fin troppo per i miei gusti.

«Hai sentito tutto, vero?.» mi chiese, facendomi annuire. Lo vidi sospirare, si mise la mani in faccia e rimase in silenzio, mentre io lo guardavo solamente.
«E scommetto che vorrai delle spiegazioni.»

«No, mi basta quello che ho sentito.» dissi, spegnendo la mia sigaretta nel posacenere. «Non ne voglio sapere nulla.»

«Non fare così.» mi disse, prendendo il mio braccio, prima che potessi andarmene dalla stanza.

«Così come Amine?.» dissi, staccandomi dalla sua presa, vedendolo alzarsi.

«Incazzata, non fare l'incazzata con me.» disse, mentre io mi feci scappare una risata.

«Dopo quello che ho sentito io non dovrei essere incazzata?.» dissi, cercando di non urlare. «La cosa che mi fa incazzare di più sei tu Amine.»

Lo vidi aggrottare le sopracciglia, mentre la voglia di urlargli contro cresceva in me.

«Fai finta che niente può ferirti.» dissi, gesticolando le mani freneticamente. «Ma sei il più facile da ferire fra tutti, lo sai.» dissi, uscendo finalmente da camera mia, dove le pareti stavano iniziando a diventarmi spaventosamente strette e la voglia di urlargli contro tutto ciò che pensavo realmente di lui cresceva.

𝗣𝗮𝘂𝗿𝗮 𝗱𝗶 𝗮𝗺𝗮𝗿𝗲 ; 𝗡𝗲𝗶𝗺𝗮 𝗘𝘇𝘇𝗮Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora