Sabato pomeriggio. Sole tiepido di metà maggio, cielo limpido sopra la mia testa e una coda di persone di fronte a me, pronte a riversarsi tra gli stand della Fiera del Libro. Altre volte sono stata qui, ma da lettrice. Quest'anno la coda la salto ed entro direttamente con il pass autore. È uscito da poco il mio primo libro e se sono qui è per la sua presentazione.
Sono nervosa, ma abbastanza brava a nasconderlo. Ho raccolto i capelli in una coda morbida che mi cade pigra lungo la schiena, ho messo un filo di trucco e un vestito che forse è un po' troppo corto, ma non importa. Ormai ci sono.
«È tutto pronto. Tu sei pronta. Non sei in ritardo e... Ehi, stai benissimo!» mi dice Emma, la mia editor, squadrandomi da capo a piedi quando la raggiungo. Ci dirigiamo insieme allo stand della casa editrice e vedo subito le copie del mio libro in esposizione. Ora sì che mi tremano le gambe.
«Ho la nausea» dico ad Emma, senza neanche accorgermi di aver parlato.
«Se devi vomitare, fallo dopo la presentazione» risponde candidamente lei.
~
Mezz'ora dopo sono su un piccolo palco rialzato, di fronte a una platea di almeno un centinaio di persone (ma quando mai ne ho avute così tante di fronte a me? Nemmeno alle recite delle elementari!) e sto parlando del mio libro. A raffica.
Non ho nemmeno il tempo di realizzare quanto sono nel panico perché queste persone, qui, si aspettano che io risponda alle loro domande. E rispondo, certo, ma mi sento come se fossi in una bolla d'acqua e una parte di me si sta ancora chiedendo: ma io, di preciso, cosa ci faccio qui?
Parlo, espongo, descrivo, sorrido alle battute, ringrazio forse un po' troppe volte. Finché, con la coda dell'occhio, mi accorgo di una persona - un ragazzo? - che si sta avvicinando al palco. Cammina ai lati delle poltroncine della sala fino ad arrivare alla prima fila, che è rimasta deserta. Mi arriva proprio davanti, tanto da farmi perdere il filo del discorso. Cosa stavo dicendo? Chi parlava? Io?
Il ragazzo si siede a qualche poltroncina di distanza da me, composto e discreto. Sotto agli occhi verdi, che ora mi stanno fissando, indossa diligentemente la mascherina come tutte le persone della sala, quindi non posso vedergli il viso. Ma gli occhi sì. E forse guardo in quegli occhi per troppi secondi, perché la relatrice al mio fianco decide di incalzarmi con un'altra domanda per togliermi da quell'imbarazzante silenzio.
«Come hai iniziato a scrivere, ***?» mi chiede. «Da quanti anni lo fai?»
Una vita, risponderei. Ma non è quello che dico.
«Da quando avevo dodici anni. Scrivere mi ha sempre fatto stare bene, è stato naturale continuare a farlo. Col tempo è diventato più difficile, ma non ho mai smesso.»
Mi aspettavo questa domanda e mi sento tranquilla mentre parlo dei miei studi, dei corsi di scrittura narrativa, delle crisi d'ispirazione che hanno sempre costellato il mio percorso. Ma non sono tranquilla davvero. No, perché sento quel paio di occhi verdi ancora addosso, anche se non sono più voltata verso di lui. E ci provo, a voltarmi, quel tanto che basta per vederlo ancora lì, che mi fissa, e potrei giurare che c'è un sorriso sotto a quella mascherina. Quegli occhi sono calmi e sereni come il cielo che ho visto qui fuori prima di entrare. Sereni, e fissi su di me.
~
Quando termina la presentazione, come sempre, c'è la firma delle copie del libro. Non c'è una gran ressa di persone interessate al mio autografo, ma sono comunque molte di più di quelle che mi aspettavo. Si mettono in coda davanti a me e io firmo le copie, e ancora sorrido, e ancora ringrazio. Ho perso di vista il ragazzo con gli occhi verdi, dev'essersene andato quando...
No. Non se n'è andato.
Smetto un attimo di respirare quando me lo trovo davanti che mi porge una copia del libro per la firma.
«Ciao» mi dice. Anche la sua voce è calma, serena, come lo sono i suoi occhi.
«Ciao» rispondo, ma la mia voce non suona bene come la sua. La mia è più leggera, quasi non la sento io per prima. Forse non l'ha sentita nemmeno lui.
«Vuoi una dedica per qualcuno?» gli chiedo. Punto gli occhi sulla quarta di copertina per evitare di fissare i suoi, e cerco di darmi un tono giocherellando con la penna.
«Sì» risponde. «Per me.»
Sta sorridendo sotto alla mascherina, lo so, lo vedo. Forse sogghigna. Forse ha visto quanto sono in imbarazzo.
«Certo. Il tuo nome?»
«Mirko.»
Grata di poter abbassare di nuovo gli occhi, sfoglio le prime pagine fino al frontespizio e inizio a scrivere. La data di oggi, Fiera del Libro di...
«No» mi dice lui. «Quello non serve. Scrivi solo... Qualcosa di tuo.»
Rialzo gli occhi su di lui e per qualche secondo resto immobile, indecisa se chiedergli di spiegarsi meglio su quello che vuole o semplicemente rifiutare. Poi non faccio nessuna delle due cose.
Questo è il mio libro e posso scrivere quello che mi pare. E così scrivo un messaggio per lui.
"Mirko, grazie per essere qui oggi. È un giorno importante per me. Grazie per i tuoi occhi così sereni, vorrei avere la metà della loro calma. Spero che il libro ti accompagni in qualche momento bello. Con affetto, *** "
Gli porgo il libro senza dire una parola. Anche lui non aggiunge altro, ma mentre se ne va, i suoi occhi mi stanno ancora sorridendo.
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Diviso in due // Rkomi
Fanfiction"Usa questo numero tutte le volte che vuoi". A scrivere questa frase, su un tovagliolino di un bar, è Rkomi. Ma lei non lo sa. Lei pensa di aver conosciuto soltanto un ragazzo di nome Mirko... E quando la sera stessa avrà bisogno di aiuto, il numero...