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Raggiungiamo la sua auto nel parcheggio dell'aeroporto, di fronte agli Arrivi, restando in silenzio.

Quello che vorrei fare è raccontargli tutto per trovare con calma una soluzione assieme a lui, ma non è quello che riesco a fare.

L'unica cosa che riesco a fare, non appena entro nella sua macchina e Mirko si siede a fianco a me, è scoppiare a piangere prima ancora di iniziare a parlare.

Mirko resta di sasso per qualche secondo, quando mi vede crollare così, di colpo.

«Ehi» mi sussurra, tirandomi più vicina per abbracciarmi di nuovo. «Sono qui. Sei con me, adesso. Che cosa succede?»

Mi vergogno da morire a singhiozzare così, ma non riesco a smettere.

«Mi dispiace» provo a dire. «Non volevo piangere».

«***, per favore, mi dici cosa sta succedendo?»

«Non posso più vederti, Mirko».

Mi rendo conto di quanto questa frase sia brutale solo dopo averla detta.

Lo capisco perché lui si irrigidisce e le sue braccia si staccano da me. Ci allontaniamo tutti e due di scatto, come se una forza invisibile ci spingesse l'uno lontano dall'altra.

«Non posso farlo, non è giusto» gli dico ancora, asciugandomi il viso dalle lacrime.

L'espressione di Mirko è completamente indecifrabile. È immobile, come una statua di pietra, e aspetta che io prosegua.

Allora gli racconto della telefonata di ieri, di come mi è stato chiesto di interrompere la nostra frequentazione e per quale motivo, e lui subito distoglie lo sguardo, fissandolo sulla macchina posteggiata davanti alla nostra.
Il suo volto è pallido, assente. Potrebbe essere arrabbiato, deluso, triste, o tutte queste cose assieme, ma non lascia trasparire niente.

«Penso che... questa persona non abbia torto», dico quindi. «Tu hai... stai ottenendo finalmente quello per cui hai lavorato per anni. È giusto che tutte le tue energie siano indirizzate su quello, adesso. Sui concerti, sulla tua musica. Io... ti distraggo. Non ti faccio bene.»

«Ma che cosa stai dicendo

La rabbia nelle parole di Mirko è così violenta che, d'istinto, appoggio la schiena alla portiera, distanziandomi di più.

«Tu vuoi lasciare che una persona esterna, che non ha niente a che vedere con noi, decida quello che noi dobbiamo fare?»

Lo dice fissando l'auto davanti, senza guardarmi, e io ringrazio mentalmente per questo. Non credo che riuscirei a sopportare i suoi occhi arrabbiati che mi fanno questa domanda.

Non riesco a rispondere, infatti. Lascio cadere il silenzio, che Mirko rompe ancora, pochi istanti dopo, con delle nuove parole piene di risentimento.

«E comunque tu non puoi decidere per me. Se la mia carriera è più importante di te, non lo decidi tu. Lo decido io. E non lo è. Non è più importante di te».

Si gira verso di me e lascia che io veda veramente cosa gli sta passando per la testa. Non è rabbia, non solo. I suoi occhi sono arrossati, lucidi.

«Io non...» gli dico allora, e mi accorgo che sto tremando. «Io non ti sto lasciando».

«L'hai appena fatto. Mi hai detto che non puoi più vedermi».

«Per il periodo del tour. Non è un addio».

«E quindi cosa vuoi che faccia? Che finga che tu non esista per due mesi, per poi tornare e dirti "ehi, per caso sei ancora libera?" Ma che cazzo di discorso è?»

Diviso in due // RkomiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora