11.

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Non ho mai fatto l'autostrada così velocemente. Non so cosa mi sia preso, è come se non volessi perdere nemmeno un secondo in più... mentre, fino a poco fa, il tempo lo volevo per starmene da sola a pensare.

È passata un'oretta da quando sono partita, ma solo ora mi accorgo di dover richiamare Mirko per farmi dire il suo indirizzo, perché ero così presa da questa decisione, prima, che me lo sono scordata. Ma è lui a richiamarmi, prima che possa farlo io.

«Ciao» rispondo dall'auricolare. «Tra poco sono al casello.»

«Hai corso...» deduce lui, facendosi un po' di conti. «***, ti aspetterei anche se ci mettessi dieci ore. Quindi per favore non ti ammazzare.»

«Se non ricordo male mi hai detto che ami la velocità. Non hai detto qualcosa del genere?»

«Non la amo se sei tu alla guida.»

«Grazie, eh. Guarda che so guidare bene.»

«***, ti voglio intera. Rallenta, abbiamo tutto il tempo.»

«Stai tranquillo. Fidati di me.»

Mirko cede. Cambia discorso. «Mi dici cosa ti ha fatto cambiare idea riguardo oggi?» mi chiede. «Non dovevi fare altre cose?»

«No, l'avevo detto solo perché avevo paura di stare ancora con te.»

Ok, un po' troppo sincera, forse. E penso proprio che lui questa sincerità non se l'aspettasse, perché per qualche istante non risponde.

«E adesso non ce l'hai più?» chiede poi.

«Adesso ce l'ho ancora, ma meno. E oggi non lavoro. E nemmeno tu, da quanto ho capito. Mentre domani siamo impegnati entrambi. Così ho pensato che fosse meglio sfruttare questo giorno.»

Mirko mi fa finire tutta la spiegazione, e quando parla capisco dalla sua voce che sta sorridendo. «Anch'io ho voglia di stare con te», mi dice, facendomi capire di aver sentito anche quello che non gli ho detto affatto.

Non riesco a confessargli che è esattamente ciò che sto pensando, quindi non aggiungo altro. E lui ancora una volta mi viene incontro, ricominciando a parlare per farmi superare quel silenzio.

Si offre di aspettarmi in strada, all'arrivo, e si preoccupa del mio parcheggio. Ma l'unica cosa di cui mi preoccupo io, ora, è arrivare presto a casa sua.

Forse sì, sono davvero impazzita.

Lo saluto quando sono nelle vicinanze del casello. Esco dall'autostrada e vado verso il suo quartiere, seguendo le indicazioni che mi ha dato poco fa. Riconosco il suo palazzo da distante e trovo parcheggio senza nemmeno faticare troppo. Dio esiste, a quanto pare.

Un minuto dopo sto salendo le scale che portano al suo appartamento. Ho il fiatone, sento caldo, e nella borsa ho il cellulare che squilla. È lui. Ma non rispondo, perché tanto sono qui.

Suono alla sua porta.

Passano dei lunghi secondi prima che Mirko apra, e mi sembrano interminabili. Poi, quando lo vedo comparire al di là dello stipite, con quel suo sorriso un po' incerto e quella meraviglia negli occhi, l'unica cosa che desidero fare è gettargli le braccia al collo e baciarmelo tutto.

E faccio proprio così.

Non gli lascio il tempo di dire nulla. Lui ci prova a parlare, ma riesce solo a dire "pensavo che mi..." e poi basta, perché ho già incollato la bocca alla sua.
Mi accorgo solo vagamente del fatto che lui, con un calcio, abbia richiuso la porta alle nostre spalle. La mia attenzione è tutta concentrata sulle sue labbra, le sue braccia che mi stringono, le sue mani fra i miei capelli, il suo respiro nel mio.

Diviso in due // RkomiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora