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La nausea che avevo prima della presentazione si è trasformata in una fame allucinante. Prima di iniziare ad autodigerirmi, convinco Emma a venire con me al bar del piano terra per mangiare qualcosa.

«È andata benissimo» mi dice lei. «Hai visto com'erano tutti attenti?»

«Sì, ho detto cavolate?»

«Nessuna.»

«Strano.»

«Tu ti sottovaluti. Non capisco perché dici di essere nervosa, non lo sembravi per niente.»

«Questo perché non hai notato le mie gambe... Hanno smesso di tremare solo due minuti fa.»

Emma ride ma si vede che è soddisfatta. Il libro ha venduto parecchio, dice, stiamo andando bene. A me sembra di essere ancora in quella bolla di prima, ma è tutto molto più bello ora che non devo più parlare di fronte a un centinaio di persone. Lascio che Emma mi racconti tutto quello che le è successo durante la mattinata, e non la interrompo per tutta la durata dei nostri panini.

«Scappo, ho la seconda» mi dice lei quando finisce. Ha una seconda presentazione con un'altra autrice. «Ci vediamo più tardi. Torni stasera a casa? O domani?»

«Stasera. Prendo l'ultimo treno, quello delle 22.»

Mi abbraccia veloce, ma stretta. È uno dei suoi modi per dirmi quanto ci tiene a me. Ci accordiamo per salutarci prima che io riparta e poi la lascio andare, tornando al mio piatto ormai vuoto e ai miei pensieri.

Ma resto da sola con le mie riflessioni soltanto per una decina di secondi, perché la sedia dove prima era seduta Emma viene spostata di nuovo.

«Posso?» dice una voce che ho già sentito.

Alzo gli occhi e me lo ritrovo lì. Il tizio della dedica.

Vorrei rispondere, davvero, ma sulle prime non ci riesco, resto imbambolata a fissarlo e così lui si siede senza attendere il mio ok. Si ravvia i capelli con una mano e mi guarda.

«Ci siamo visti prima, o sbaglio?» butto lì, cercando di recuperare.

«Sì. Mi è piaciuta la tua presentazione. Bevi il caffè?» domanda, vedendo che ho terminato il pranzo.

Non ci avevo ancora pensato, ma...

Lui prende la mia esitazione come un sì e ordina due caffè, quindi mi sorride da sotto alla mascherina.

«Ah, giusto…» fa poi, come se si accorgesse di indossarla solo in quel momento. La toglie, e scopro subito che c'è davvero un sorriso sotto a quegli occhi verdi. Un bel sorriso furbetto.

«Mi è piaciuta la tua presentazione. Mi sono fermato per ascoltarti. Passavo da lì, sai... Non pensavo di fermarmi, ma poi ho iniziato ad ascoltarti e poi...» si interrompe, cambiando discorso. «Anch'io scrivo. Tante cose che hai detto tu le capisco bene.»

«Cosa scrivi? Romanzi anche tu?»

«No, musica. Ma non è quello. Cioè, è la stessa cosa, ma diversa. Quando parlavi di come arrivi a "creare"... Dei momenti di vuoto e di quelli folli in cui ti butti a capofitto in un'idea... Delle crisi d'ispirazione, quando ti sembra di non aver più nulla da dire…»

«Sì, è la stessa cosa» concordo.

Gli chiedo da quanto scrive, che musica fa, cosa ascolta. È più a suo agio quando si tratta di parlare di quello che gli piace, ma taglia molto più corto quando parla di sé e delle sue canzoni. Non mi dice quasi niente della sua musica, anzi, cambia subito discorso e lo sposta di nuovo su di me.

«Quindi che fai oltre a scrivere libri? Studi, lavori?» mi chiede.

Mentre rispondo alle sue domande, che sono subito seguite da altre, mi accorgo che la sua voce mi suona molto familiare. Ma non saprei dire dove l'ho già sentita, né quando. Eppure, ora che lo ascolto bene sono sicura che non sia la prima volta che la sento.

«Ma noi ci conosciamo?» gli chiedo quindi. «Voglio dire, ci siamo parlati altre volte?»

Lui resta un po' in silenzio, come col fiato sospeso. Forse sta pensando la stessa cosa. Ma poi fa spallucce. «Non penso, mi sarei ricordato di te» riflette. «E poi tu non sei di qui, l'ho letto sulla tua quarta di copertina.»

Sorrido. Quindi il libro l'ha guardato sul serio.

«Sono qui solo per la fiera, torno a casa stasera» confermo.

Lui si mordicchia le labbra. Tentenna un po', si vede che sta per dire qualcosa ma poi è come se rinunciasse. Ripiega su una domanda diversa.

«Dovresti vedere la città, prima. Sei mai stata in giro per Milano?»

Scuoto la testa. In effetti no, tutte le volte che sono venuta qui è stato per lavoro e mai per svago. Quando glielo dico, lui si illumina.

«Allora lo devi fare. Fermati un giorno in più, dai. Ti porto io in giro.»

Resto qualche secondo in silenzio. C'era qualcosa di tenero in quest'ultima sua frase. Me l'ha detta abbassando lo sguardo, come se d'improvviso fosse diventato timidissimo. Quando rialza gli occhi, lo fa quasi con cautela.

«Grazie, ma non posso fermarmi. Magari la prossima volta. Tornerò di sicuro, mi capita di passare da qui anche per lavoro.»

«Ti lascio il mio numero allora» mi dice. Non è una domanda. Prende uno dei tovaglioli che ci sono sul nostro tavolino, ferma un cameriere per chiedergli una penna, e non mi ascolta nemmeno quando gli dico che posso segnarmelo direttamente sul cellulare, senza disturbare il povero cameriere.

«Ma no, ci vuole un attimo» replica lui. E mi fa uno di quei sorrisi soddisfatti che gli ho già visto fare più volte durante questo caffè insieme. Il sorriso di qualcuno che è in pace col mondo.

Arriva la penna e Mirko si mette a scrivere sul tovagliolo. Ma non scrive solo il numero, capisco, considerando il tempo che passa piegato su quel pezzo di carta. Ci mette un po' più del necessario. Quando finisce, lo piega in quattro e me lo dà tenendolo chiuso.

«Se stasera cambi idea, o se ti serve qualcosa prima di partire... Chiamami. Io sono a casa, non ho da fare.»

Annuisco. «Va bene. Grazie.»

«Non sono un pazzo.»

Non so perché, ma il tono in cui lo dice mi fa scoppiare a ridere.

«Non penso che tu lo sia.»

«Cioè, di solito non mi propongo come guida turistica, di solito faccio altro.»

Piego la testa da un lato. «E che fai?» chiedo, ora curiosa di vedere dove vuole arrivare.

Stavolta arrossisce un po', ma solo sulle orecchie. Sposta rapido lo sguardo verso il fondo della sala. «No, niente, lascia stare» si arrende, ora visibilmente in imbarazzo. «Fatti sentire, ok?»

Gli sorrido. È stato così tenero che ci rimarrei male se fosse davvero un pazzo o qualcosa del genere.

Mentre se ne va apro il suo biglietto, prima di metterlo nella tasca esterna della borsa. C'è il suo numero, in effetti, e qualche altra parola.

"È stato bello stare qui con te. Usa questo numero tutte le volte che vuoi".

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Spazio autrice:
Ho immaginato che questa storia si svolga durante la pandemia, ma il Mirko che ho in mente è quello del 2019, quello che vedete nelle foto a inizio capitolo. Mi aveva molto colpito la sua personalità di quel periodo, la sua introversione, e la forza e la serenità che aveva scoperto dopo anni di lotte con sé stesso.
Fatemi sapere cosa ne pensate, anche con un commento al volo. Per me è molto importante 😊

Diviso in due // RkomiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora