«Questa è davvero l'ultima volta» attesta Manuel.
«Non ci credi manco tu» gli fa presente Simone, accennando una risata. Che in realtà lo spera non sia l'ultima, lo fa sempre, sebbene la propria parte più razionale lo sgrida e gli ricorda che dovreb...
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Simone fissa il fumo che esce dalla tazzina di ceramica bianca col bordo dorato. C'è dentro del caffè bollente e preferisce nettamente focalizzarsi di quello che sul resto.
È seduto al tavolo della sala da pranzo, con la luce di un sole tiepido che proviene dall'esterno in quella mattina d'autunno, colorando ogni cosa di un tenue arancione.
Tiene entrambi i pugni chiusi sulla superficie piana e serra la mandibola così forte da farsi male. Manuel gli è accanto, con in mano una brioche confezionata che ha appena aperto e a cui ha dato un solo morso; di tanto in tanto, gli rivolge un'occhiata distratta e sospira.
Vorrebbe pure dirgli qualcosa, ma sono due giorni che l'altro non gli parla e soltanto la sera prima gli ha sbattuto la porta in faccia quando vi si è presentato sulla soglia.
Quindi, in pratica, sono entrambi incazzati per qualche motivo.
«Simone, ma tutto bene?». Anita è seduta davanti al ragazzo a cui si sta rivolgendo. Tiene tra le dita una tazza più grande color carta da zucchero, contenente del tè caldo al mirtillo – l'odore è forte e si sente in tutta la stanza. Ne beve un sorso, distratta, nel momento in cui Simone solleva il capo: ha le sopracciglia aggrottate, lo sguardo cupo, che è lo stesso che rivolge in maniera fugace a Manuel, per poi affermare «Seh, tutto bene».
Anita non è affatto convinta. «Sicuro?» insiste «Hai una faccia». Non ottiene una nuova risposta, piuttosto è lei stessa a notare come i due ragazzi si scambino ulteriori occhiate, sempre quando uno di loro non può vedere l'altro.
Sbuffa, esasperata. «Manuel, che gli hai fatto?» esclama e posa la tazza sul tavolo, incrociando le braccia sullo stesso.
Manuel strabuzza gli occhi. «Ma che c'entro io?» sbotta, con la bocca mezza piena.
«C'entri sempre» fa notare la donna «E poi sò du' giorni che non ve parlate. Che ve pensate, che non le noto le cose, io?».
Simone si sforza per mantenere lo sguardo sulla tazzina di caffè, sul fumo che è diminuito – così da non voltarsi verso Manuel, dal momento che esploderebbe per quanto è arrabbiato.
«Allora?» Anita rimarca «Che je hai fatto?».
«Ma perché deve esse colpa mia, scusa?» è la replica del figlio.
«Intuito».
Un briciolo è persino divertente vederli battibeccare. Simone lo pensa sul serio – almeno da qualcuno i rimproveri se li becca.
Tuttavia, poco dopo si convince ad intervenire e «Non è successo niente» esclama «Manuel non ha fatto niente». Si alza in piedi, facendo strisciare la sedia sul pavimento e producendo un rumore sordo. «Vado prima a scuola, devo fare una cosa». Si congeda in tal modo, non consumando, alla fine, neppure la colazione e abbandonando la sala da pranzo con le spalle ricurve.