Alla luce del sole

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Simone ha cercato una spiegazione al comportamento di Manuel negli ultimi dieci giorni e, purtroppo, non l'ha trovata

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Simone ha cercato una spiegazione al comportamento di Manuel negli ultimi dieci giorni e, purtroppo, non l'ha trovata.

Si è posto mille domande sul fatto che l'altro a stento gli rivolga la parola, che ovviamente hanno smesso di scambiarsi baci – seppur di nascosto – in camera o in bagno a scuola; gli unici loro contatti sono in moto, unicamente per non capitombolare a terra durante il tragitto la mattina, ma nulla più.

E gli manca.

Lui e tutto ciò che facevano, che avevano, nonostante una definizione precisa non ci sia mai stata.

È seduto al tavolo della sala da pranzo. C'è il sole quel giorno, sebbene la luce di esso sia ancora fioca, per cui la stanza è riempita da quella del lampadario che riflette un tenue giallo su tutte le pareti.

Simone tiene in mano una brioche confezionata che ha scartato almeno dieci minuti prima e a cui non ha dato manco mezzo morso. È solo: Anita è uscita presto quella mattina, Dante è ancora chiuso in bagno al piano superiore, a prepararsi – ci mette tre ore a farlo, è puntiglioso nell'ultimo periodo – e Manuel...

Non ne ha idea.

Presume sia rintanato in camera sua, dove trascorre la maggior parte del tempo, con la porta chiusa a chiave.

Ha provato a scrivergli pure su WhatsApp, più volte, per avere una qualsivoglia reazione da parte sua, ma ha ottenuto soltanto messaggi letti e nessuna risposta. Quindi ha avuto l'istinto di andare a bussare alla sua porta e non smettere più, però si è trattenuto, per non essere troppo – invadente, forse?

Probabilmente sì.

È tornato a farsi quelle mille paranoie di cui ha pensato, per un attimo, di essersi liberato.

Immagina che sia impossibile vivere senza, avere un momento privo di pensieri che lo abbattono, che lo feriscono e gli fanno dubitare di ogni cosa.

Simone mette giù la merendina, cerca di infilarla di nuovo dentro l'involucro di plastica, con scarsi risultati. Non ha fame, gli si è chiuso lo stomaco. Mantiene lo sguardo basso, per questo si accorge soltanto dopo dell'arrivo di Manuel, il quale prende posto al lato opposto del tavolo: non gli si sistema accanto, neppure di fronte; è a distanza e basta, mentre versa del caffè tiepido in una tazza di ceramica lilla.

Simone lo fissa per un istante, con timore di un eventuale scontro dei loro occhi – sebbene, inconsciamente, non desideri altro. «Stai bene?» osa chiedere e pensa che, con alta probabilità, non avrà risposta neanche ora.

Manuel tentenna di fronte a tale quesito. Mette due cucchiaini di zucchero nella tazza e rigira la bevanda con un cucchiaino. Nemmeno lui è in grado di guardarlo in faccia. «Seh» taglia corto «Tutto bene».

Almeno una replica è arrivata, stavolta.

Simone manda giù a fatica la saliva, sente la gola secca. Scrolla le spalle, per scacciare quel magone che lo sta opprimendo – che, se ne conoscesse il motivo, magari sarebbe facile da mandare via. «Ma ti ho fatto qualcosa?» pigola.

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