Tabula rasa

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Quei giorni a scuola pesano come macigni, il che è strano perché, alla fine, Simone non li ha mai trovati troppo pesanti: gli piace studiare, ascoltare le lezioni – un po' meno quelle di materie come il latino o la filosofia, ma tant'è – quindi no...

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Quei giorni a scuola pesano come macigni, il che è strano perché, alla fine, Simone non li ha mai trovati troppo pesanti: gli piace studiare, ascoltare le lezioni – un po' meno quelle di materie come il latino o la filosofia, ma tant'è – quindi non si spiega il motivo per cui, adesso, ha il cuore stretto in una morsa, un buco allo stomaco che non riesce a colmare e un fastidioso fischio nelle orecchie.

Le parole della professoressa Castelli le sente a stento: la vede scrivere sulla lavagna, disegnare una funzione che, di norma, lui saprebbe risolvere ad occhi chiusi.

Normalmente, il linguaggio della matematica gli è chiaro, i numeri gli appaiono davanti, lo cullano e guidano in ogni direzione. È ciò che lo porta a calcolare ogni cosa persino nella vita, ad essere il più razionale e logico possibile.

Perché lui è Simone Balestra ed è un genio della matematica.

Adesso, però, davanti a sé ha soltanto scarabocchi che non capisce, simboli che non riesce a decifrare.

La sua mente è riempita da altro: da Manuel, dal fatto che sia con Martina e ha finto che non gli importasse ciò che ha visto su Instagram – i post, le storie – così come continua a fingere che vada tutto bene, che non gli manchi, che gli faccia meno male pensare all'ultima volta in cui si sono effettivamente trovati faccia a faccia, tra ciò che l'altro ragazzo gli ha urlato addosso e il loro silenzio e non rivolgersi mezzo sguardo durante il tragitto verso casa.

Il punto è che non ne hanno parlato, hanno smesso di farlo.

Non che prima lo abbiano mai fatto davvero, hanno sempre lasciato troppe cose non dette.

Ma ora è tutto decisamente più confuso e doloroso, poiché Simone non ci capisce più niente – della vita e della matematica.

Non ha più alcuna certezza.

È in tilt e basta.

La situazione peggiora quando gli occhi vanno a posarsi sul primo banco lasciato vuoto, nell'esatto istante nel quale la professoressa Castelli esclama: «Simone, tu sai come risalire all'equazione di questa funzione, giusto? Da dove partiamo?».

No, non lo sa. Non ne ha idea. Quel disegno fatto con un gessetto potrebbe rappresentare qualunque cosa, così come le formule che vi sono segnate accanto. Solleva lo sguardo, per incrociare quello della donna che lo scruta attraverso delle lenti spesse e attende, fiduciosa.

Simone si sente soffocare, manda giù a fatica della saliva. Prova a parlare, nessun suono gli esce fuori di bocca per dei secondi che paiono interminabili. Poi «Posso – andare in bagno?» riesce a borbottare.

La professoressa aggrotta le sopracciglia, confusa – dato che una risposta dal suo alunno prediletto la ottiene sempre – quindi ora è confusa dall'accaduto. Scuote il capo e «Certo, uhm – immagino di sì, solo...».

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