«Questa è davvero l'ultima volta» attesta Manuel.
«Non ci credi manco tu» gli fa presente Simone, accennando una risata. Che in realtà lo spera non sia l'ultima, lo fa sempre, sebbene la propria parte più razionale lo sgrida e gli ricorda che dovreb...
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La campanella suona e pone fine all'ennesima giornata di lezione al liceo Da Vinci, anche se, per gli studenti all'ultimo anno, ogni rinnovato trillo rappresenta un tassello in quel conto alla rovescia che li condurrà al termine della scuola, al temuto esame di maturità, ad un futuro da costruire pieno di aspettative e certi nuovi problemi.
In quinta superiore, il tintinnio della campanella si vive più con un senso di angoscia che di liberazione perché, un giorno, essa suonerà per l'ultima volta e tutto sarà diverso.
Simone è uno degli ultimi ad alzarsi dal banco.
L'ora con la professoressa Castelli non l'ha seguita molto - come le precedenti, del resto. Ha passato quel tempo a torturarsi le dita tremanti, con lo sguardo basso, distratto; di tanto in tanto, ha posto l'attenzione sul banco vuoto accanto a sé - Andrea non si è presentato a scuola quella mattina - oppure a quello in prima fila, riempito da quella folta chioma di ricci castani che riconoscerebbe tra mille.
È folle essere così in confusione e dilaniato da qualcosa che altri definirebbero una situazione irrisoria e ridicola, di poco conto.
Le immagina benissimo, le parole altrui: ma che ti manca, Simone? Non hai ragioni per stare così. Ma che dovrei dire io? Insomma, c'è sicuramente di peggio al mondo, dai, fatti forza.
E lui lo sa benissimo che c'è di peggio, che i problemi dipendono dalla prospettiva da cui si guardano, eppure ci sono tante voci nella sua testa che prendono e analizzano ogni particolare della propria vita, pure il più stupido, lo scompongono e tirano fuori tutti gli aspetti negativi per sbatterglieli in faccia. Così, alla fine, vede anche le sciocchezze come insormontabili, anche i problemi più piccoli come enormi massi impossibili da spostare o abbattere.
La dottoressa Morozzi glielo ha spiegato, una volta, durante le poche sedute di terapia: che è in quel modo che funziona l'ansia, una sorta di mostro racchiuso dentro alla mente che cambia la percezione del mondo, che fa sentire incredibilmente stupidi la maggior parte del tempo, che fa palpitare il cuore nei momenti meno opportuni, che smorza il respiro, che fa sentire perennemente non all'altezza.
Che ti fa sentire come se non ne valessi mai la pena.
E lui ha addosso tale convinzione in maniera costante e non riesce a liberarsene.
Non sa a cosa sia dovuto, quando è davvero iniziato poi.
Immagina l'ansia sia stata da sempre una compagna silenziosa, solo che adesso fa più rumore.
«Simone?» è la voce della professoressa di matematica a riportarlo bruscamente alla realtà quando si sta alzando dalla sedia di legno e infilando la giacca nera. Raccatta lo zaino, lo infila su una sola spalla e «Sì?» replica, con tono rauco.
Il tono della Castelli è basso, quasi avesse timore a parlare. Strabuzza gli occhi, come suo solito. È seduta alla cattedra, gli fa un cenno con la mano per invitarlo ad avvicinarsi, al quale il ragazzo obbedisce.