«Questa è davvero l'ultima volta» attesta Manuel.
«Non ci credi manco tu» gli fa presente Simone, accennando una risata. Che in realtà lo spera non sia l'ultima, lo fa sempre, sebbene la propria parte più razionale lo sgrida e gli ricorda che dovreb...
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Le pareti di quella stanza fatica a riconoscerle.
È vero che è la prima volta che ci entra in quella stanza dalle pareti bianche e anonime e una fila di faretti spenti sul soffitto sopra di lui.
È sdraiato su un letto a due piazze. Un lenzuolo lilla sgualcito gli copre il corpo dal bacino in giù. C'è silenzio intorno, assenza di suono interrotta soltanto dal respiro flebile di Andrea che gli dorme accanto, con una mano appoggiata sulla propria pancia.
Simone non ha osato muoversi, neppure di mezzo centimetro.
È nudo, è vulnerabile.
È terribilmente vuoto.
Soltanto un'ora e mezza prima, quella gli è sembrata una buona idea per smettere di pensare, per trovare un briciolo di tranquillità in un oceano di inquietudine.
Eppure, crede di aver provocato soltanto ulteriore danno ad una condizione già precaria di per sé.
Non si usano le persone, Simone.
Una voce all'interno della testa lo rimprovera. Vorrebbe combatterla, tuttavia, senza scavare troppo a fondo, deve darle ragione.
La cosa più giusta sarebbe andarsene e basta.
La più giusta e, al contempo, la più codarda.
Andrea è il primo ragazzo con cui è andato a letto, dopo Manuel.
Andrea è l'unico ragazzo con cui è andato a letto, a parte Manuel e vorrebbe dire di non aver pensato a quest'ultimo per tutto il tempo, di non aver immaginato il suo volto mentre percepiva addosso quei gesti delicati e attenti, le sue carezze sulle pelle, i suoi baci lievi sulla bocca.
Vorrebbe non averlo pensato, ma è esattamente ciò che è accaduto.
Non si usano le persone, Simone.
La voce rimbomba ancora, più forte, più violenta.
Strizza le palpebre; vorrebbe scacciarla, però crede quasi di meritarselo quel rimprovero.
Con delicatezza, sposta la mano di Andrea, così da potersi alzare dal letto. Raccoglie i propri vestiti sparsi in giro, sul pavimento. Li indossa come meglio può, dal momento che è buio lì dentro e l'unica fonte luminosa proviene dal corridoio, attraverso una piccola fessura della porta socchiusa.
Crede di aver messo la maglia al rovescio. Non ha molta importanza.
Abbandona la stanza in silenzio, con le scarpe in mano per poter fare il meno rumore possibile; le infila soltanto quando è sul pianerottolo e scende le scale rapidamente, evitando l'ascensore.
Una volta fuori, l'aria gelida di dicembre gli lambisce le guance e gli fa bruciare la pelle - quello, forse, non accadrebbe se non l'avesse bagnata con delle lacrime che ha trattenuto fino all'ultimo.