17. Fai di me ciò che vuoi

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Jason non mi permise di dormire da sola nemmeno quella notte, ormai mi era chiaro che avrei potuto lasciare la casetta libera per essere affittata da qualcun altro, in modo che Becca potesse guadagnarci qualcosa. La nostra era diventata una piccola convivenza, passavamo tutto il tempo insieme, a ridere, scherzare, a volte a parlare del nulla più assoluto, ma ogni momento era perfetto a modo suo. Ero quasi tentata di prendere i miei vestiti e la mia valigia e portarla da lui, ma mi sembrava troppo, un gesto quasi definitivo, ufficiale, un qualcosa che non ero ancora pronta ad affrontare, nonostante ormai fosse chiaro anche ai muri che ci piacevamo, e parecchio.

Il fatto di sapere di avere un posto in cui tornare, "mio", mi faceva sentire in qualche modo più ancorata alla realtà; era il giusto equilibrio per non perdere completamente la testa e lasciarmi andare troppo come al mio solito. Non che riuscissi molto nel mio intento, comunque, Jason aveva la capacità di farmi perdere la cognizione del tempo, dello spazio e del mio corpo, mi calamitava verso di lui in maniera impercettibile, ma inesorabile. A volte cercavo di mantenere il controllo dei miei gesti, ma era praticamente impossibile. Ero fregata, completamente.

Il risveglio fu meno dolce di quello della mattina precedente, Jason non era accanto a me, non sentivo il peso del suo corpo sul mio e diedi quasi per scontato che fosse andato a portare Buck a fare una passeggiata, visto che non percepivo nemmeno lui sul letto. Mi godetti il tepore delle lenzuola, la leggera brezza che entrava dalle finestre lasciate aperte e quel benessere che sembrava avvolgermi da capo a piedi. Dopo non seppi quanto tempo, sentii in lontananza il ticchettio delle zampe di Buck sul pavimento e degli altri suoni quasi impercettibili. Il materasso accanto a me si abbassò e una mano di Jason si intrufolò sotto il lenzuolo ad accarezzarmi la schiena dolcemente.

Mugugnai, muovendomi di poco e poi sentii Jason imprecare.

«Hally, per favore» aggrottai le sopracciglia a quella sua supplica, ma quando sentii il tessuto della mia maglietta scendere sul sedere, capii a cosa si riferisse e ridacchiai.

«Non è stato voluto» biascicai.

«Mi risulta difficile da credere, anche se non so bene perché.»

Mi sdraiai e aprii gli occhi, sorridendogli. Buck gli stava accanto, la lingua a penzoloni e mi guardava in attesa.

«Buongiorno a tutti e due» mi alzai sui gomiti per dare un bacio a Jason sulle labbra e Buck si intromise dandomi una leccata sulla guancia.

«Non sai proprio stare al tuo posto, vero?» Jason rifilò un'occhiataccia al suo cane che lo guardò senza battere ciglio, come se volesse fare il finto tonto.

«Si sentiva escluso» lo difesi e mi beccai uno sguardo di sbieco dal moro, che mi fece ridere.

«Hai fame?» mi chiese.

«Un po'.»

Si alzò dal letto e lo vidi recuperare un tavolino dal comò, uno di quelli che si usavano per mangiare sul divano.

«Mi hai preparato la colazione?» mi illuminai.

«Sì, ieri tu, oggi io. Volevo farti assaggiare la colazione in stile Jason.»

Guardai nel piatto che mi stava mettendo davanti e mi scappò una risata. «Latte, cereali e caffè?» alzai lo sguardo nella sua direzione.

«Sono un tipo con poche pretese, io.»

«O forse non hai voglia di prepararti niente?»

«Ho qualcuno che me lo prepara, tanto per essere precisi.»

Quella sua ammissione mi fece spalancare la bocca e lo guardai scioccata. «Hai un maggiordomo?»

Sbuffò, forse non avrebbe voluto dirmelo. «Sì, Albert.»

Il Linguaggio Segreto dell'AnimaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora