24. Perché tutti ne parlano ancora?

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Mi ero convinta di una cosa con il passare dei mesi: se una persona non ti cerca, significa che non vuole averti nella sua vita. Non importava che continuassi a rivivere in loop quei pochi minuti passati a pochi centimetri dal suo viso, il suo respiro addosso, il suo calore attorno, lui non si era più fatto vivo e quella era la realtà dei fatti.

Mi ero arresa di poter dare una qualche spiegazione a ciò che era successo tra di noi, sia in quei pochi giorni passati insieme, che a quella serata di beneficienza, perché non c'era e non l'avrei trovata. Non serviva che mi arrovellassi il cervello e pensassi fino a consumarmi le meningi, non c'era una risposta certa, una verità assoluta. L'unico punto fermo era la sua costante assenza. Quella contava, nulla più.

Mi sentivo ancora una stupida, quello sì, soprattutto quando, sovrappensiero, mi ritrovavo a pensare ai momenti passati insieme. Molto spesso mi perdevo a osservare il vuoto, mentre rivivevo nella mia testa le sensazioni che mi avevano scossa quando ero in sua presenza. Quando ritornavo alla realtà, il mio pensiero fisso era sempre e solo uno: com'era possibile che pochi giorni potessero sconvolgere i mesi a venire in quel modo? Anche in quel caso, purtroppo, non c'era una soluzione a quel quesito e, per quanto mi desse fastidio, non potevo impedire che succedesse. Era un dato di fatto, ormai, quando c'entrava Jason il mio cuore, il mio corpo non ragionavano più e non serviva che utilizzassi tutta la mia forza di volontà per impedirmi di pensare a lui, tanto succedeva comunque, ma avevo smesso di pormi inutili domande, non aveva più senso, non dopo 4 mesi passati a non ottenere mai una risposta.

Il mio punto fisso era ormai il lavoro, più di quanto fosse prima, mi ci buttavo a capofitto senza quasi mai respirare e quando non ero tra le quattro mura dell'ufficio, mi rifugiavo in palestra a prendere a pugni un sacco da boxe. Ero dimagrita, forse troppo, nonostante mangiassi in maniera regolare e a volte in abbondanza.

«Questo mese sarà più pieno e impegnativo del solito» la voce di mio padre mi ammaliava sempre, aveva una cadenza così leggiadra che mi ipnotizzava. «Servirà la collaborazione di tutti e dovremo fare in modo che la squadra sia sempre un po' sottopressione, ma non troppo.»

«Li facciamo sentire coccolati e capiti, ma prendiamo da loro il meglio, lo so» lo presi in giro.

«Sei ancora convinta di poter gestire tutto?» mi guardò preoccupato.

«Sì, tranquillo, ce la posso fare» gli ripetei per la centesima volta.

«Posso prendermi a carico alcuni progetti e...»

«Papà, per favore, hai già degli impegni con la fondazione e tutto il resto, non credo sia il caso che pensi anche ai progetti, ce la posso fare.»

Sbuffò e scosse la testa. «Sei così testarda! Ma lo vedi come ti stai riducendo?»

Mi irrigidii sulla sedia. «Come mi sto riducendo, sentiamo» incrociai le dita tra di loro, con i gomiti appoggiati ai braccioli.

Di sicuro non mi sarei messa a raccontargli che il lavoro mi aiutava a non pensare, a non sentire la costante mancanza di qualcuno accanto, che mi avvolgeva del proprio amore quando tornavo a casa la sera. I progetti, le riunioni, il lavoro da organizzare mi impediva di rendermi conto di quanto avvertissi sempre di più la nostalgia di una famiglia, quella che avevo sempre sognato di avere, ma a cui sembravo non essere destinata. Non gli avrei spiegato che, quando mi sentivo sola, ripensavo a quei pochi giorni passati con l'unica persona che aveva imparato a capirmi senza nemmeno bisogno di parlare. Non l'avrei mai confessato a nessuno, che sognavo ancora quegli occhi verdi che mi facevano sentire unica nel mio genere.

«Stai dimagrendo troppo, sei sempre tirata, fai casa-lavoro, lavoro-palestra. Non ti fanno più ridere nemmeno le battute stupide di Vinny, che di solito ti rilassavano sempre. Non ti svaghi mai un po', non...»

Il Linguaggio Segreto dell'AnimaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora