19. Siamo una fragile bolla di sapone

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Jason si dimostrò essere un avido ascoltatore. Mi fece domande, soprattutto sulla mia vita dopo che mia mamma se ne fu andata, mi chiese se ci fosse qualcuno accanto a me, oltre a mio padre e a sua moglie, e come fossi stata. Non gli confessai pienamente i miei pensieri del tempo, non ammisi che la perdita di mia mamma mi rese ancora più restia ad avvicinarmi a qualcuno per paura di essere lasciata. Non gli raccontai delle volte in cui mi arresi, convinta che non sarebbe successo e invece venivo inesorabilmente smentita. La mia vita, dopo la sua morte, era stata una sequela di fallimenti, a parte che per il lavoro, tutto il resto sembrava essere quasi la solita monotonia.

L'unica persona che aveva colorato la mia vita era stata Becca, che mi era stata vicina nel lungo percorso di accettazione del dolore che avevo compiuto, soprattutto dopo essermi resa conto che non avesse senso tappare le mie sensazioni in un buco e sigillarlo; poi aveva conosciuto Robert e la sua vita aveva preso una piega completamente diversa. Ero stata abbandonata anche da lei, ma non la biasimavo per quella scelta: aveva tutto il diritto di farsi una vita propria, lontana da una persona che sembrava essere solo in grado di allontanare le persone, in un modo o nell'altro. Con Becca il rapporto era diventato diverso, unico nel suo genere, ma sempre l'opposto di quello che avevamo avuto fino a quel momento.

Dopo la perdita di mia mamma, in qualche modo avevo anche dovuto affrontare la lontananza da quell'unica persona che aveva sempre affollato le mie giornate e le aveva rese divertenti, senza mi ritrovai a vagare nel mondo in cerca di qualcuno che mi comprendesse, per quello ero incappata in uomini a cui era bastato riempirmi di qualche gesto e tante belle parole per farmi crollare ai loro piedi.

Avevo sbagliato tanto nella vita, mi ero appoggiata a un uomo dopo l'altro senza sapere che l'unico vero pilastro della mia esistenza dovevo essere io, perché le persone, oltre a starci accanto, non possono fare poi tanto altro, la maggior parte del lavoro spetta a noi e alle nostre sole forze. Mi ci erano voluti anni per capirlo e tanta sofferenza, ma alla fine ero arrivata a quella consapevolezza: io ero la colonna, il pilastro, il faro e tutti gli altri potevano solo contribuire a rendere la mia vita migliore, nulla più.

Tacqui tanti dettagli a Jason, rimanendo sempre sul vago, perché non volevo che entrasse troppo nella mia testa, nei dettagli che in un certo modo mi facevano star male. Se avevo sofferto tanto, era solo colpa mia; se ero stata usata, era solo a causa mia e di certo non volevo che qualcuno arrivasse a capire quanto profondamente avessi bisogno di essere accettata per incappare in certi errori, soprattutto non Jason.

Provai più volte a cambiare argomento fino a quando fu proprio il moro davanti a me, a darmi un appiglio che presi di buon grado. Non mi piaceva che volesse sapere tanto di me, ma che si lasciasse così poco andare sulla sua vita e volevo che la situazione tornasse in pareggio ed entrassimo in acque più neutre.

«Hai detto a Becca di noi?»

Ridacchiai, guardandolo divertita. «C'è un noi?» lo presi in giro, rigirandomi tra le sue braccia.

Ci eravamo spostati sul letto da un po', giusto per stare più comodi, il divano aveva cominciato a sembrarci stretto.

«Non c'è?» si fece serio, ma non mi preoccupai.

«Be', ci sono svariati motivi per cui non funzionerebbe» continuai a scherzare.

«Quali?»

«Primo fra tutti: abbiamo due animali domestici completamente differenti» accarezzai il pelo di Buck con i piedi. Lo vidi inarcare un sopracciglio. «Ho un gatto.» Buck al solo sentire il nome del suo acerrimo nemico scattò in piedi, abbaiando. «Vedi,» risi «non potremmo mai vivere insieme, non abbiamo futuro. Ci toccherebbe tutti i giorni assistere alla terza guerra mondiale.»

Il Linguaggio Segreto dell'AnimaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora