43. Non c'è mai fine al peggio

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Il mio piano funzionò alla grande, tanto che Hayley venne improvvisamente gettata nel dimenticatoio, almeno per i mass media, per me e il mio povero cuore, invece, la questione sarebbe andata ancora per le lunghe

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Il mio piano funzionò alla grande, tanto che Hayley venne improvvisamente gettata nel dimenticatoio, almeno per i mass media, per me e il mio povero cuore, invece, la questione sarebbe andata ancora per le lunghe. 

Valérie, dopo la prima uscita, aveva provato a coinvolgermi in qualcosa di diverso, ma non c'era stato verso. Le notavo le sue reazioni e i suoi sguardi lascivi, ma li ignoravo, perché da parte mia non c'era quel tipo di interesse. Era una bravissima ragazza, simpatica e alla mano, ma la differenza d'età e l'alchimia che non era mai scattata, mi impediva di continuare qualsiasi tipo di frequentazione. E poi, comunque, non era Hayley. A ogni momento passato insieme a Valèrie, mi ritrovavo a chiedermi come sarebbe stato vivere lo stesso istante con Hayley e mi perdevo nei meandri della mia fantasia, a immaginare un futuro che forse non mi era dato di vivere. Mi sentivo uno stupido ogni volta che la mia mente indugiava su un qualcosa che non era accaduto davvero. Mi davo del cretino da solo tutte le volte che desideravo succedesse davvero.

In quei momenti, Valérie si incupiva, rendendosi conto che non fossi pienamente presente con la testa e si chiudeva nei suoi silenzi carichi di una delusione a cui non potevo porre rimedio. Mi dispiaceva, quello era normale, ma ero stato chiaro fin da subito nello specificarle che i nostri sarebbero stati solo degli appuntamenti finti, che di vero avrebbero avuto ben poco. In sua difesa, potevo dire che, vedendo le foto, da fuori sembrasse davvero che io fossi preso da lei e mi piacesse sul serio: gli occhi, lo sguardo, la postura, le carezze nei punti giusti facevano pensare che il mio fosse un interesse sincero, ma dentro di me sapevo che non fosse realmente così.

Per me esisteva un'unica donna, quella stessa che aveva preso a odiarmi con maggior vigore dopo che erano state pubblicate le foto mie e di Valérie. Me la immaginavo stringere i pugni lungo i fianchi, camminare per la stanza su e giù, con la voglia di venire da me e spingermi, o prendermi a pugni, solo per sfogare quella rabbia cieca che le stava montando dentro. Mi sembrava quasi di percepire la sua delusione e il rammarico per avere l'ennesima conferma che fosse stata solo una delle tante, un mezzo per arrivare a delle copertine e basta. Avvertivo anche a distanza la sua voce soave che ripeteva in una litania melodiosa di essere stata presa in giro e che ero davvero un grande attore per aver finto così bene.

Non aveva comunque tutti i torti, dovevo ammetterlo, in fin dei conti, non era mica quello che avevo fatto con Valérie? Non avevo mica finto di aver Hayley accanto per tutto il tempo, soprattutto quando dovevo avere con lei dei contatti più ravvicinati?

Oltre a sentirmi stupido, in ogni livello possibile, dovetti fare i conti con la mia coscienza che continuava a ripetermi che avevo davvero toccato il fondo e che peggio di tutta quella situazione non ci potesse essere.

I finti appuntamenti con Valérie avevano riempito un paio di settimane, distraendomi da quella monotonia che ormai era diventata la mia vita. Gli unici momenti in cui riprendevo a respirare erano quando scrivevo, buttando giù tutti i pensieri che affollavano la mia mente. Riponevo all'interno di quel libro tutti i miei sentimenti, le parole che non potevo dire, le frasi che bussavano all'interno della mia gola per poter uscire, le speranze di un futuro migliore e che un lieto fine, anche per noi, ci potesse essere. Scrivevo, rileggevo e inviavo la bozza del capitolo a Barbra, la mia editor, che divorava con entusiasmo ogni parola che digitavo, senza commentare o fare domande, solo qualche correzione di poco conto qua e là che andavo a correggere senza esitazioni. Vedevo i suoi silenzi come dei taciti consensi e andavo avanti come un treno, con la smania di godermi ogni singolo istante che i due protagonisti passavano insieme, come se rivivessi sulla pelle ciò che era stato.

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