Prologo

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Ero una persona molto determinata, avevo sempre trovato la forza per raggiungere i miei obiettivi e per superare gli ostacoli che la vita mi metteva davanti, anche se in alcuni casi erano stati più duri e tosti da scavalcare. Ero cocciuta e inflessibile, se mi mettevo in testa una cosa era quella e nessuno mi avrebbe potuto far cambiare idea, ma lo stesso non lo si poteva dire del mio capo, Thomas Evans. Ero lì nel suo ufficio da dieci minuti che cercavo di contenere la rabbia e la frustrazione, avrei voluto lanciare in aria ogni mobile pur di non prendermela con lui.

«Stai scherzando, vero?» lo osservai, sperando di trovare una qualche traccia di divertimento nel suo sguardo, anche se non mi stupii di non trovarne.

«No, Hayley, saranno almeno 2 anni che non ti prendi una pausa e adesso è arrivato il momento che tu stacchi la spina e te ne vada. È già stato organizzato tutto.»

«Da chi?» gli domandai incredula, strabuzzando gli occhi.

«Da me, ovviamente» mi fece un debole sorriso, provando a tranquillizzarmi, ma sbuffai.

«Non ci andrò, non ne ho bisogno» incrociai le braccia e mi infossai nella poltrona come solo una bambina avrebbe potuto fare.

Il lavoro era stato la mia àncora di salvezza, era il motore che portava avanti la mia vita e lo adoravo. Forse lui non se ne rendeva conto, ma il mio lavoro mi piaceva e non avevo davvero bisogno di staccare la spina.

«Ho fatto qualcosa di sbagliato? Ho fatto credere che ne avessi bisogno?» gli chiesii con un sopracciglio inarcato.

«Tesoro, non ci sarà niente che mi farà cambiare idea, quindi rassegnati.»

Il fatto che avesse usato quel nomignolo mi fece capire che fossimo da soli e che potessi parlare liberamente, senza bisogno di censure.

«Non mi rassegnerò mai, papà! Non ne ho bisogno! E poi è passato da un pezzo il periodo in cui potevi decidere dove passassi le mie vacanze!»

Alzò gli occhi al cielo e si appoggiò alla poltrona. «Passi tutta la tua giornata qua, anche quando sei a casa sei sempre reperibile per la squadra. DEVI staccare e non mi interessa che tu dica di no, ma lo devi fare, anche perché Becca ci rimarrebbe parecchio male se le facessi saltare le sue ferie.»

Mi bloccai sulla sedia e lo guardai torva.

Mi ha incastrato! Lurido manipolatore!
Becca era la mia migliore amica da una vita, ma si era trasferita dopo anni di collage in Georgia, insieme al marito e avevano aperto un piccolo villaggio immerso nella natura, il Green Paradise. Si occupavano loro di tutto, della pulizia e del mantenimento degli alloggi e organizzavano attività ricreative per gli ospiti. Si divertivano e facevano sempre nuove conoscenze, permettendo anche ai loro bambini di crescere in mezzo alle persone fin da piccoli e di abituarli all'accettazione della diversità altrui. Un paio di volte mi era capitato di fare una scappata nel weekend e nei periodi di festa, giusto perché mi mancava e volevo essere un po' partecipe di quella sua pazzia, che la rendeva tanto felice. Dovevo ammetterlo, però, mi mancava abbracciarla, erano mesi che non la vedevo e sarei stata più che felice di permetterle di godersi una vacanza, ne doveva aver bisogno.

Forse sotto sotto anche tu.

A volte mi sembrava che il traffico di New York, i rumori, lo smog e la gente mi avvolgessero e inglobassero tutti i miei pensieri, impedendomi addirittura di pensare. Forse, respirare un po' di aria pulita mi avrebbe fatto bene.

«Cosa ti sei inventato?» gli chiesi, cercando di non fargli capire che mi avesse praticamente convinta.

«Ho sentito Becca, le ho spiegato che pensavo avessi bisogno di una pausa e ha specificato che per te la porta del Green Paradise era sempre aperta, poi, sai, parlando, è saltato fuori che magari potessero andare anche loro in ferie per il periodo della tua permanenza.»

Il Linguaggio Segreto dell'AnimaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora