29. Non siamo tutti uguali

785 37 36
                                    

Il weekend in compagnia con la mia migliore amica era stato rilassante e rigenerante, nonostante cercasse di menzionare il nome di colui che non doveva essere nominato almeno ogni tre frasi, ogni volta si beccava un'occhiataccia da parte mia, che la faceva tacere ancora prima di pensare di farlo. Ridemmo davvero tanto, guardammo film strappa lacrime e preparammo una torta insieme, come facevamo quando eravamo delle ragazzine. Non uscimmo mai di casa, rimanemmo tutto il giorno avvolte dai nostri pigiami, mangiando cibo spazzatura. Lì per lì non mi era importato poi molto, pensavo solo ai momenti che stavo passando con Becca, ma il lunedì mattina quando misi una gonna a tubino nera che adoravo e mi andava leggermente stretta, mi sentii immediatamente in colpa.

È stata una pessima idea mangiare tutto quel cibo in questi giorni.

La vaga sensazione di disagio aumentò, quando varcai la soglia dell'ascensore quasi di corsa e vi trovai Jason all'interno. Sussultai senza volerlo e cercai di nascondermi nel cappotto, ignorando volutamente la sua figura, anche se mi era bastato scorgerlo con la coda dell'occhio con il suo bel vestito elegante e quella postura sicura, per avere la tentazione di girarmi e baciarlo.

Ed è solo il primo giorno...

In realtà non è ancora cominciato.

«Buongiorno», mi sorrise, mentre percepivo il suo sguardo che scivolava lungo la mia intera figura.

Dannazione! Sembrerò un arrotolato.

«'Giorno» mi schiarii la voce, cominciando a picchiettare un piede sul pavimento.

«Sei nervosa?»

«No, solo che...» sbuffai e poi scossi la testa. «Non ce l'ho con te» ammisi, girandomi poi per incontrare il suo sguardo. Rabbrividii quando notai i suoi occhi ancora più verdi del solito.

Illegale. Dovrebbero dichiararlo illegale.

«Vorrei ben vedere, non ti ho ancora detto niente» mi prese in giro, le mani affondate nelle tasche del cappotto.

Non gli avrei mai palesato il mio disagio, sarebbe stato imbarazzante, soprattutto perché quello era il suo primo giorno come mio capo e non potevo avere quel tipo di confidenza con lui, non più almeno.

«Quindi, che succede?» mi incoraggiò a parlare, ma scossi la testa. «Riguarda il lavoro?» si fece ancora più serio.

«No, Jason, davvero, è una cavolata, nulla di cui preoccuparsi» gli feci un sorriso e mi girai a guardarlo, ma gli occhi seri che incontrai mi incussero un po' di timore.

«Se è una cavolata, perché non me la dici?» mi scrutò a fondo e mi sentii quasi nuda.

«Perché non posso parlarti di certe cose!» alzai leggermente la voce, avvertendo l'imbarazzo aumentare dentro di me.

«Certo che puoi, almeno che...» si fermò, mi guardò per qualche minuto in silenzio. «Sei uscita con qualcuno?»

Scoppiai a ridere senza volerlo. «No, ho passato il weekend con Becca. Ci siamo talmente ingozzate di cibo che la gonna mi va stretta. Guarda» aprii il cappotto e gli feci vedere quanto tirava sulla vita. «Mi sento a disagio.» La sua domanda mi aveva fatto sputare la verità senza che nemmeno la pensassi, ma era stato più forte di me.

«Se tu non l'avessi detto, non avrei notato niente» sembrava più rilassato, ma lo sguardo era comunque sempre serio.

A cosa sta pensando?

«Ma sembro un insaccato!» mi sistemai, mentre ridacchiavo.

«A me pari sempre stupenda» sussurrò a un centimetro dal mio viso.

Il Linguaggio Segreto dell'AnimaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora