30. Rimettersi in gioco

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L'inizio della settimana successiva fu movimentato e caotico, l'intera agenzia era in fermento per qualche progetto, c'erano disegni, fogli, penne e pennarelli in ogni dove; gente che si prendeva la testa tra le mani e che sembrava non sapere più dove sbattere la testa.

Io, osservavo la scena dal mio ufficio interamente di vetro, anche se mi trovavo quasi nella loro stessa situazione. Jason aveva acconsentito a prendersi a carico del progetto di Yummy, ma non voleva dire che fossi in mancanza di lavoro o di programmi da ideare. Dovevo dire, però, che mi divertivo a vedere il gruppo di Jason andare in giro per l'ufficio come se fossero diventati completamente pazzi, osservare il moro che mollava i suoi abiti perfetti a mano a mano che le ore passavano, mi faceva scappare un sorriso. Quel piccolo dettaglio dimostrava che per lui il lavoro fosse importante e che ci mettesse tutta la passione e l'impegno possibile, non si risparmiava o frenava, anzi. Quel suo carisma, quella voglia di fare e andare sempre oltre, spingeva l'intero gruppo a dare il meglio anche nei momenti in cui sembrava che non ce l'avrebbero fatta. Lo osservavo parlare con tutti, dispensare pacche sulle spalle e sorrisi da sciogliere il cuore. Si erano imbarcati in una situazione quasi suicida, ma Jason era un ottimo capitano e li avrebbe di sicuro traghettati verso la fine di quella tempesta.

A cosa stavano lavorando non mi era dato saperlo, Jason aveva pregato tutti di tenere all'oscuro chiunque non lavorasse al progetto, per scaramanzia, voleva gustarsi l'effetto che avrebbe avuto su di noi la loro idea, come se fossimo dei clienti. Eravamo il loro test, la loro prova che il progetto poteva essere realizzabile.

Più le ore passavano e più mi rendevo conto che la mia concentrazione fosse labile, molto fatua, il fatto che Jason passasse la maggior parte del tempo dove stava l'intero gruppo era un grosso problema per me. Mi ritrovavo a osservarlo, a studiarlo nelle movenze e nelle reazioni senza nemmeno rendermene conto. Il mio cervello si sconnetteva e il mio sguardo andava lì, su di lui, a qualche metro di distanza da me.

Come ho potuto non notarlo prima?

Stessa cosa che mi domando anch'io. Avevi proprio dei paraocchi enormi.

Era possibile avere davanti una persona per tanto tempo e non notarla mai davvero? Condividere del tempo, delle serate, senza mai scorgerla fino in fondo? Come potevo non avere notato le occhiate di Jason, quando mi erano sempre sembrati dei macigni allo stomaco pronti a farmi affondare? Potevo essere stata tanto cieca?

Lui di certo non aiutava in alcun modo i miei pensieri a distaccarsi da lui, anzi, perché a un certo punto, si alzò e si tolse quasi a rallentatore la giacca, sbottonò i polsini e li arrotolò fino ai gomiti. I suoi gesti sembravano controllati e mirati come se il suo intento fosse di far impazzire chiunque lo stava guardando. Se lo faceva apposta, non sembrava, gli veniva tutto talmente naturale da renderlo ancora più attraente.

È dannatamente sexy.

Scossi la testa, gli stavo dando troppa importanza, come sempre. Mi doveva aver fatto qualche sortilegio magico quando eravamo stati da soli, perché non era possibile che mi avesse fottuto tanto il cervello. Passare dal non notarlo a diventare quasi una maniaca era troppo per chiunque, figuriamoci per me, che non mi era mai capitato di sentirmi al limite dell'ossessivo nei confronti di un uomo.

Presi in mano il telefono con foga, andai su Apple Store e digitai Tinder.

Fanculo. Adesso lo scarico e faccio il profilo. Devo finirla di lasciarmi influenzare da lui.

Bene! Ben detto, ma... perché fissi l'icona senza metterla a scaricare?

Il mio dito rimase sospeso sopra la parola Downlod come se non avessi davvero il coraggio di farlo.

Il Linguaggio Segreto dell'AnimaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora