40. L'amore idilliaco

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Il viaggio di ritorno era stato lungo e movimentato, non riuscivo a stare seduto, con il cervello che correva a mille per cercare di trovare una soluzione a quella situazione.

Nuove domande sorgevano a mano a mano che i pensieri fluivano: chi era stato a fare la soffiata? Cosa l'aveva spinto, oltre ai soldi offerti? Avevo pestato i piedi a qualcuno senza saperlo? Se tutto quello non fosse successo, Hayley e io avremmo davvero troncato la nostra relazione, o ci saremmo dati una possibilità anche una volta tornati a casa? Sarei mai riuscito a trovare le prove della mia innocenza? Hayley mi avrebbe perdonato? Sarebbe tornata da me? Mi avrebbe confessato di essersi innamorata di me? Io... mi sentivo sempre più patetico, la voglia di urlare sempre più opprimente.

Quando il jet atterrò, mi alzai di scatto al primo momento utile per scendere le scalette e respirare un po' di aria pulita. Feci dei profondi respiri, sentendo il cuore nella cassa toracica battere all'impazzata. Non mi resi conto fino a quel momento, che stessi avendo una crisi di panico in piena regola e che non mi arrivasse abbastanza ossigeno al cervello per ragionare lucidamente.

Una volta varcata la soglia dell'aeroporto, trovai Tom e Albert ad aspettarmi, un cipiglio sul volto preoccupato. Si alzarono di scatto non appena mi videro. Li avevo chiamati entrambi prima di imbarcarmi e li avevo pregati di raggiungermi, non avevo dato spiegazioni di nessun tipo, ma ero consapevole che si sentisse dal mio tono di voce che ci fosse qualcosa che non andava.

«Che sta succedendo?» Tom mi affiancò trafelato.

«Albert, potresti vedere se Buck sta bene? Vorrei che uscisse dalla gabbia il prima possibile.»

Lui fece un cenno con la testa e si diresse verso il personale dell'aeroporto.

«Sei uno straccio.»

Alzai gli occhi al cielo. «Grazie, tu sì che sei di enorme aiuto.»

«Sto cercando di tirarti su il morale. Sembri a terra» ammise il mio migliore amico, mentre mi stringeva con una mano la spalla.

«Lo sono.»

«Con Hayley non è andata bene?»

Era stato il primo a rendersi conto che ci fosse qualcosa di diverso in me, anche se non avevo capito bene cosa. Una sera avevo visto Hayley a una festa, era stupenda, come sempre, le ero gironzolato intorno con circospezione, senza farmi vedere, con la speranza che sarei riuscito a scambiarci qualche parola, ma fu vana, perché c'era un tipo che continuava a starle vicino e a farla ridere. L'avrei ucciso, avevo la tentazione di andare da loro e tirargli un pugno in faccia, ma mi resi subito conto che la mia reazione sarebbe apparsa esagerata e un po' da pazzo. Ero rimasto invece in disparte, a godermi la sua risata cristallina e quello squarcio della vera Hayley che mi era dato modo di vedere per la prima volta. Non sapevo chi fosse quell'uomo, ma sembrava che l'avesse messa molto a suo agio, tanto da nascondere per un po' l'aria impostata di sempre. Ne ero geloso, dovevo ammetterlo, avrei voluto esserci io al suo posto, ad avere la consapevolezza che avesse abbandonato la sua maschera solo per ridere delle mie parole. Doveva essere una sensazione bellissima.

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