36. Abbiamo tempo, oggi, domani, in un'altra vita

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Tra il pianto, gettai il libro sul letto e andai a recuperare il PC che avevo lasciato nella borsa. Le mani mi tremavano, mentre aprivo la zip e appoggiavo il computer alla scrivania. Le lacrime non la smettevano di scendere dalle mie guance e aspirai con forza più volte, cercando di digitare la password che, a causa della vista annebbiata, non riuscivo a inserire. All'ennesimo tentativo fallito, mi fermai e presi un profondo respiro, cercando di darmi una calmata. Digitai nuovamente la password, azzeccandola, e mi connessi subito al sito della compagnia aerea con cui avevo prenotato il volo, cambiando quello di ritorno.

Finalmente fai qualcosa di sensato nella vita!

Al diavolo qualsiasi mia remora o paura, dovevo tornare a casa il prima possibile e verificare che non tutto fosse andato perduto. Ormai non avevo più dubbi: Jason era Theo Brooks e aveva scritto quel libro parlando di noi. Non potevo negarlo o nasconderlo, dovevo solo accettare il fatto che ero stata talmente stupida da dubitare di lui e del suo interesse. L'unica cosa che potessi fare in quel momento era mettere da parte la paura di un possibile rifiuto, che sarebbe stato lecito, andare da lui e sperare che nel frattempo non avesse cambiato idea, visto il modo pessimo in cui mi ero comportata nei suoi confronti nelle settimane precedenti.

Recuperai il cellulare, infilandolo tra la spalla e il collo, e feci partire la chiamata a mio padre, mentre cominciai a raccogliere le mie cose, buttandole alla bell'e meglio nella valigia.

«Ehi, tesoro. Tutto a posto? Finalmente ti degni di farmi una chiamata» rise.

Ero talmente presa dal libro e dalla fiera, che avevo scritto giusto dei messaggi a mio padre per non farlo preoccupare più di tanto, ma, per il resto, ero rimasta nel mio mondo fatato e ovattato, a godermi tutto ciò che avrei potuto cogliere tra quelle pagine.

«Sì, papà, tutto a posto, ma mi servirebbe un favore.»

«Quale sarebbe?»

«Mi dovresti far avere l'indirizzo di Jason, per favore.»

«Di Jason? Gli devi inviare una cartolina?» rise e io mi bloccai per la sua stupidità. Certe volte se ne usciva con delle frasi che trovavo senza senso.

«Papà, è una cosa seria. Ho appena modificato il volo di ritorno, questa sera sarò a New York e ho bisogno del suo indirizzo, per favore.»

«Ti sei finalmente resa conto che quell'uomo è ancora pazzo di te?»

Mi pietrificai, mentre mi stavo infilando dei jeans addosso. «È così palese?»

«Oserei dire cristallino, ma tu sembravi cieca e sorda, non ho mai capito come mai.»

Sbuffai e mi allacciai la cintura. «Credo di aver sempre avuto troppa paura. Di un po' di tutto, in realtà.»

«A volte la paura è la nostra peggiore nemica.»

«Già, a quanto pare.»

«Non farti bloccare di nuovo, però, non ne avresti motivo.»

«E se avesse cambiato idea?»

«Hayley, è da quando hai fatto entrare quell'allampanato del piano di sotto che Jason si è spento. Per non parlare poi di quando sei partita, sembra non avere più la stessa energia. Certe cose non cambiano, tesoro, non in così poco tempo.»

Annuii con la testa, come se potesse vedermi. «Senti, fammi avere l'indirizzo il prima possibile. Il volo è verso le 16 e stamattina andrò in fiera per vedere di accaparrarmi almeno un altro paio di appuntamenti con dei papabili clienti.»

«Vuoi che ti mando l'aereo?» mi chiese, premuroso.

«Lascia stare, sarebbe stupido, risparmierei solo qualche ora e preferisco parlare a casa sua, che da qualsiasi altra parte.»

Il Linguaggio Segreto dell'AnimaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora