Capitolo 6

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La festa a cui sono andata con Tyler stava andando bene. No, in realtà no, mi stavo annoiando da morire e, come se fosse tutto organizzato, cosa che in realtà non era, il mio cellulare ha iniziato a squillare. Si trattava di un uomo che chiamava per River, mi sono spaventata a morte, sono corsa via dalla festa e sono salita in auto, ho fatto in dieci minuti, quando normalmente ci avrei messo mezz'ora.

All'inizio sembrava tutto okay, alla festa: Tyler mi ha presentato alcuni suoi amici e mi ha preso da bere, poi ha iniziato a parlare soltanto lui e soltanto di sport, cosa che mi ha fatta annoiare da morire.

All'esterno del bar in cui mi hanno detto di venire ci sono delle auto della polizia e delle persone in manette, sono soltanto uomini. Entro fregandomene dei commenti diretti a me che fanno e mi guardo intorno: il bar è praticamente sottosopra, ci sono tavoli e sedie rotte, sangue, bicchieri e bottiglie in mille pezzi, persone che tengono ghiaccio e stracci sulle ferite. Sembra un film. Sono preoccupata per River, il mio cuore batte forte, non so dove andare e cosa fare, poi lo vedo seduto in disparte che tiene qualcosa sulla testa. Corro da lui sedendomici accanto, alza lo sguardo e, vedendo che si tratta di me, lo abbassa subito.

L'ultima volta che ci siamo visti ci stavamo divertendo come degli stupidi per la prima volta da quando ci conosciamo, ora però non mi importa... mi importa soltanto che stia bene.

«Oh mio Dio. Non è grave, vero? Ero preoccupatissima, sono corsa qui pensando al peggio.» gli dico, provando a guardare la ferita, ma lui si scansa.

«Ho chiamato Nancy, Jim, Keith, per fino i tuoi genitori... ridevano di me. Avrei fatto a meno di chiamare te, hanno insistito loro per chiamare qualcuno, ma ho lasciato che fossero loro a chiamarti.» mi dice, come se in tutto questo fossi io la cattiva.

Io non so che problemi abbia, il motivo per cui si metta a bere, visto che sento l'odore di alcol quando parla, a fare a botte con gli altri, e non vada d'accordo con nessuno, ma non mi può mettere in mezzo a queste cose. Avrebbe potuto risolverla in altri modi, visto che gli altri non volevano saperne, invece ha fatto chiamare me, e non me la bevo che l'uomo abbia deciso da solo di chiamare proprio me, deve averglielo detto lui. Che poi non sapevo nemmeno avesse il mio numero.

Eccolo qui. Ecco tornato il River di sempre, lo stronzo da cui tutti stanno alla larga e che non vorrà che gli parli mai dell'altro giorno, come se ci fosse qualcosa di cui vergognarsi.

«Scusa? Grazie, Meadow, per aver lasciato il tuo appuntamento ed essere corsa qui per me! Oh, e scusami se ti ho spaventata!» sbotto.

Di solito sto dalla parte di River e non gli vado contro, ma questa volta non sarebbe potuta andare diversamente.

«A chi cazzo frega del tuo appuntamento?» sbotta contro l'unica persona che si è preoccupata ed è corsa qui per lui.

Io... io proprio non capisco. Sono sconvolta. Dopo ciò che è successo pensavo ci fossimo avvicinati, e il fatto che avesse fatto chiamare me mi ha fatto credere che questa volta sarebbe stato diverso... mi sbagliavo.

Ho il cuore a pezzi perché non ce la faccio più ad essere trattata così, non da lui che per me è sempre stato un metro più in alto di tutti gli altri... qualunque cosa io faccia o dica, non gli farà mai provare lo stesso dolore che lui fa provare giorno dopo giorno a me. Come sempre, dimostrandomi patetica, delle lacrime iniziano a scendermi giù per il viso e non si fermano nonostante continui ad asciugarle. Tiro su col naso e mi metto a cercare dei fazzoletti in borsa, mi asciugo le lacrime ancora e ancora e soffio il naso.

Io non me lo merito. Non sarò perfetta, ma non me lo merito.

«Me ne dai uno, per favore?» mi giro a guardare una ragazza che avrà soltanto qualche anno più di me, prendo un fazzoletto e glielo passo, lei mi ringrazia e si siede accanto a me: «Che fregatura, eh? Pensavo mi portasse in un bel ristorante, per il primo appuntamento, invece mi ha portato in questo schifoso bar e tutti hanno iniziato a prendersi a pugni senza motivo.» mi racconta.

«Io sono stata portata ad una festa a tema anni venti e ha parlato soltanto di sport per tutto il tempo.» le racconto, nonostante non la conosco, così scoppia a ridere.

«Infatti sembravi tipo un fantasma, quando sei arrivata. Sei perfetta, sembri proprio uscita da un racconto degli anni venti.» mi dice facendomi sorridere.

«Ti stai lamentando anche con lei di me?» arrivano due ragazzi, uno di loro si mette accanto alla ragazza e le mette il braccio sulle spalle, mentre l'altro ragazzo si appoggia al tavolo.

A quanto pare si sono ritrovati tutti in mezzo ad una rissa, probabilmente la maggior parte non sa nemmeno perché si stavano prendendo a pugni, ma ormai quel che è fatto è fatto.

«Che carina, hai visto? Lei piange perché il suo ragazzo si è fatto male, tu invece ti lamenti e basta.» le dice sempre lui.

«Non penso che quello sia il suo ragazzo.» dice lei.

«Grande! Il mio amico si è innamorato a prima vista di te, se non sei fidanzata glielo puoi dare il tuo numero?» guardo il suo amico, ancora in piedi, che ride e gli tira un pugno sulla spalla.

Potrei anche darglielo davvero il mio numero, ma non sono interessata... non lo ero nemmeno di Tyler, infatti se mamma non avesse accettato il suo invito da parte mia non ci sarei andata...

«Non mi sono innamorato, bastardo. Ho detto che ti avrei scopata, è diverso.» wow, che finezza...

Mi giro a rimettere i fazzoletti in borsa e faccio una smorfia di disgusto, alzo lo sguardo vedendo che River mi sta guardando.

«Possiamo andare?» gli chiedo, lui non mi risponde ma si alza, così mi alzo e guardo i tre, li saluto e poi vado verso la porta seguita da River.

Anche se l'appuntamento con Tyler, che poi non mi piace nemmeno chiamarlo appuntamento, direi che fosse più un'uscita, fosse andata bene, non ci sarei comunque più uscita con lui, quindi se mi cercherà ancora glielo spiegherò.

Esco vedendo che tutte le persone di prima e gli agenti sono ancora qui, sospiro e tiro dritto a testa bassa come ho fatto prima, fingendo di non sentire ciò che mi dicono, arrivando alla mia auto ed entrando, io al posto di guida e lui accanto a me. Parto subito, diretta a casa sua, sentendo da subito quanto sia gelida l'atmosfera qui dentro.

«Ti fa male?» gli chiedo, parlando del taglio che ha sulla testa.

«Non rompere il cazzo Meadow.» sussurra, alzando a palla il volume della radio e appoggiandosi con la nuca al sedile.

Gentile...

Passiamo tutto il breve viaggio così: in silenzio, con la musica a palla, finché lo abbasso per fermarmi davanti a casa sua, scende senza nemmeno ringraziarmi e sbatte forte la portiera. Scuoto la testa e riparto, non credendo possibile che possa trattare una persona in questo modo...

Come fosse un sognoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora