Pubblicato nella raccolta "Racconti liguri e lombardi" del 2024 edita da Historica. ✨
I giornali lo conoscono come "il volpone", pochi lo hanno visto ma nessuno sa che il suo nome era Amedeo Civanelli. Vissuto nella periferia Lecchese, in una casa non troppo isolata, era un assassino talmente astuto che nessuno è mai riuscito a smascherarlo.
I suoi genitori erano proprietari di un ristorante in Liguria, e Amedeo è cresciuto con l'amore per la cucina e l'olio extravergine d'oliva che gli scorreva al posto del sangue.
I coniugi Civanelli vennero presto afflitti da uno sconosciuto malore che pose fine alla loro esistenza. In quel periodo Amedeo era già adulto ma - ahimè - la sua mente non era cresciuta con lui.
Vendette immediatamente il ristorante e si trasferì in un quartiere malfamato dove frequentò cattiva gente che lo condusse a compiere diversi furti.
Era dotato di una incredibile fortuna che lo portò a dedicarsi al gioco d'azzardo e dopo aver accumulato una somma di denaro talmente ingente che se avesse voluto avrebbe potuto risolvere la povertà nel mondo, lasciò l'officina meccanica presso cui lavorava, e si dedicò alle sculture in legno.
Scoprì di avere un talento naturale per la realizzazione di queste opere d'arte, ma ogni lavoro era gelosamente custodito nel suo appartamento. Nessuno venne a sapere che in città viveva l'uomo più ricco del mondo, dal momento che preferì mantenere un profilo basso, creandosi numerosi conti in banca falsi e altrettanti pseudonimi.
Nessuno sa di preciso che cosa l'abbia portato a compiere omicidi seriali.
A un certo punto della sua vita ha cominciato a isolarsi da tutti: ha acquistato un appartamento a Lecco, nella sua routine evitava luoghi troppo affollati e arrivò a limitare i contatti con chiunque. Acquistava abiti e viveri online e pretendeva che il corriere lasciasse il suo ordine fuori dalla porta di casa. Cominciarono a girare voci che ritenevano che quella casa fosse stregata e i bambini si divertivano a suonare il campanello, ma Amedeo non rispondeva.
Il suo primo omicidio avvenne una mattina di primavera.
Era quel periodo dell'anno in cui gli alberi si riempiono di fiori, gli animali escono dal letargo, le rondini tornano e iniziano a cantare: quel periodo dell'anno in cui rinasce la vita, ma proprio quel giorno Amedeo ne uccideva una.
Il tempo non era ancora mite, le strade erano ancora quasi deserte. Amedeo uscì di casa, andò a piedi a comprare il pane e si recò sul lungolago. Era da tempo che non usciva di casa e non amava l'atmosfera che creavano il lago, i cigni e le persone. Sarebbe voluto tornare a casa subito, soprattutto quando si trovò circondato da piccioni attratti dalla delizia che stava gustando; eppure gli bastò dare schiaffi al vento per allontanare quegli uccellacci affamati.
Finito di mangiare, si alzò dalla panchina su cui si era accomodato a riposare, e andò verso una stretta viottola.
E lì vide il suo bocconcino di pane.
Era una ragazza sui trenta, capelli dorati come la crosta e pelle bianca come la mollica. Il suo abbigliamento consisteva in un crop top, jeans strappati e scarpe da ginnastica. Stava mangiando un gelato, quando Amedeo glielo strappò di mano, lo buttò nell'immondizia, prese la sua cintura e la strinse al collo della ragazza; questa cercò di dimenarsi, di urlare, ma quello che uscì dalla sua bocca ricordava vagamente un richiamo di aiuto.
Mentre compiva questo brutale gesto, Civanelli non si guardò nemmeno intorno per controllare di essere solo, come così effettivamente era.
Prese un sacco dell'immondizia e ci buttò dentro il corpo come fosse un oggetto, se lo caricò in spalla e tornò a casa come nulla fosse. Giunto nel suo appartamento, prese il corpo della ragazza e lo utilizzò come modello per le sue sculture. Scolpì per parecchi giorni, intagliò anche il gelato che lei stava mangiando, e i capelli con un effetto incredibile tanto che sembrava che stessero ancora svolazzando.
Poi, del corpo, non sapeva più che cosa farne. Con le sue abilità da cuoco, lo sminuzzò e lo buttò nell'umido.
La sera stessa, i telegiornali non trasmettevano altro: una ragazza era scomparsa e nessuno riusciva a trovarla. Misero pattuglie, elicotteri, ma la poveretta sembrava dispersa. Civanelli ascoltava le notizie e sapeva che doveva essere sempre all'erta se voleva iniziare questa malefica routine.
"Finalmente succede qualcosa di interessante anche in questa noiosa provincia", pensavano i lecchesi.
L'assassino cominciò a uscire mascherato da volpe, il più furbo degli animali, mentre lui era il più furbo tra tutti gli uomini. Studiò la cartina e trovò aree strategiche dove non c'erano telecamere in cui poteva attirare le sue vittime.
Andava a comprare il pane, mangiava, trovava la sua vittima sacrificale, uccideva, cerava sculture di legno e se ne sbarazzava. La stessa storia si ripeté per mesi, forse anni.
Il volpone - così era conosciuto dai giornali nazionali - era diventato ormai un serio pericolo tanto che i poliziotti solo una volta riuscirono quasi a prendere Civanelli; questi decise di prendersi una pausa durante l'estate e aspettare che si calmassero le acque. "Il volpone è andato in vacanza!?" Quello fu lo slogan per tutta l'estate: Civanelli negava ed era ritornato a trascorrere intere giornate tappato in casa; i cittadini e i lavoratori del turismo si spaventarono per questa nuova minaccia e mettevano in secondo piano le bellezze della città come il Lago di Como, i luoghi manzoniani.
Come ogni anno tornò l'autunno: i cittadini morivano come le foglie degli alberi, altri si chiudevano in casa come animali in letargo.
Le statue nella casa di Civanelli aumentavano sempre più. Era incredibile come grazie alla sua malefica astuzia, riusciva a compiere qualcosa che lo rendeva felice.
Aveva studiato attentamente la piantina di Lecco e aveva individuato tutte le zone in cui non era attiva la videosorveglianza e quelli diventarono i luoghi in cui compiva i delitti.
Il sette novembre, giorno in cui Don Abbondio incontrò i bravi, l'assassino era mascherato come uno degli scagnozzi di Don Rodrigo e tutti si fermavano a fotografarlo. Si avvicinò a un povero senzatetto e promise che gli avrebbe trovato una casa e un po' di cibo. Quello, pieno di speranze, seguì Civanelli come una pecora segue il macellaio prima di essere massacrata.
Il poveretto non doveva essere colto perché tutti conoscevano le malefatte che compiva l'antagonista del romanzo ambientato proprio in quei luoghi.
La sua scultura era impreziosita con ogni dettaglio, compreso il bicchierino di plastica trovato forse in un cesto dell'immondizia, che l'uomo tendeva con la speranza che qualche anima pia gli desse anche solo pochi spiccioli. Gli abitanti raccontano che il poveraccio si lamentava perché sosteneva che dare del cibo a lui fosse più importante che dare da mangiare a un piccione.
Trascorse circa un mese da quell'evento.
Civanelli si sentiva ormai stufo di questi omicidi e cominciava a sospettare che quella non fosse la sua vera fonte di felicità. Si diresse in chiesa perché voleva dire a Dio che, nonostante tutte le malefatte di cui entrambi erano consapevoli, era ancora vivo e vegeto con la vecchiaia che però si faceva sentire.
Con tutte le chiese che ci sono a Lecco, non fu un caso che si diresse a quella di San Nicolò, il giorno del patrono. La messa c'era appena stata e Civanelli controllò che anche il parroco fosse uscito, prima di entrare attraverso la porta centrale.
L'assassino tentò invano di ricordarsi da quanto tempo non entrava in una chiesa: quasi si soffocò a causa dell'odore dell'incenso che era cosparso in tutta la basilica illuminata solo da alcune candele; il pavimento a scacchiera era sporco di fango, i libretti erano ancora sulle panche e sull'altare, il messale era aperto.
Si diresse a passo deciso verso l'altare maggiore per ammirare l'organo corale. Pensò di rubare qualcosa ma d'istinto si voltò verso leggio e vide un uomo.
Era più anziano di lui, aveva una folta barba bianca e si reggeva su un bastone con la punta ricurva, mentre nell'altra mano aveva tre sacchetti di monete che Civanelli volle subito sottrargli, ma non lo fece. Indossava una casula molto larga, lunga fino ai piedi, coperta da un grande mantello rosso con dettagli in oro. Sulla testa aveva un pastorale, cosa che gli fece nascere qualche sospetto che il sacerdote non fosse uscito. Quando si accorse dell'aureola dietro di lui, si guardò intorno terrorizzato: tutte le iconografie di santi, della madonna e di Gesù Cristo erano sparite. L'assassino spostò il suo sguardo sul pavimento a scacchiera e vide che i piedi dell'uomo erano coperti da una nuvola che faceva ombra sul pavimento.
«Buongiorno, Amedeo. Che la pace sia con te.»
«Come fa a conoscere il mio nome?» Chiese il volpone terrorizzato.
«Non ha importanza» Rispose.
«La pace, poi? Lei mi viene a parlare di pace? Ai leader dei paesi in guerra… Loro sì che non hanno pace.»
«E meriterebbero di ottenere la pace?»
«Meriterebbero di morire.»
L'uomo non rispose, e l'assassino continuò a tremare accecato dalla luce che emanava dalla sua schiena.
«Vorrei chiederti un favore» disse poi a Civanelli.
«La ascolto.»
«Va' a Piazza Manzoni, dove c'è la statua dell'omonimo autore. Ai suoi piedi, come sai, è raffigurato il bassorilievo del matrimonio d Renzo e Lucia; però non tutti sanno che lì c'è una porticina segreta: per aprirla dovrai tirare verso il basso il braccio di Renzo che regge il suo cappello. Quando la porticina si aprirà, prendi le tre mele d'oro al suo interno e portale da me.»
Civanelli intanto annuiva e quando sentì la parola "oro" i suoi occhi iniziarono a brillare come quel metallo prezioso.
«Obbedisco» rispose, con l'idea di aprire la porticina, tirare fuori le mele d'oro e scappare ingannando l'uomo.
«Un'ultima cosa» aggiunse la figura misteriosa mentre il volpone si dirigeva trotterellando verso l'uscita.
«Se non avrò le mele, sia la tua esistenza sia la mia saranno così terribili che, ahimè, mi è difficile descrivere, e così rimarranno fino a quando gli uomini saranno arrivati ai confini dell'universo.»
Amedeo rispose che aveva compreso gli avvertimenti e, prima di uscire, sentì il misterioso uomo pronunciare Quid felicitas est? sottovoce.
Costeggiò il lago, oltrepassò Piazza XX Settembre, si lasciò sulla sinistra il suo negozietto preferito in Via Roma, attraversò la strada da incosciente che quasi venne investito da un autobus. Si trovò davanti ai suoi occhi i due promessi e subito passò all'azione. Gli parve di sentire qualcuno che diceva: «Che cosa fa? Sta rovinando la statua del Manzoni» ma pensò fosse tutto frutto della sua immaginazione, dal momento che la strada era deserta e le finestre delle case erano chiuse.
Amedeo tirò il braccio di Renzo, si aprì una porticina che conteneva tre mele d'oro puro, lucenti come l'aureola dell'uomo in chiesa. Si affrettò a chiudere la porticina e tornò indietro con quel tesoro in mano. Stranamente non gli balenò per la mente l'idea di tenersi quelle mele perché, prima di tutto, era l'uomo più ricco del mondo e non era interessato a ulteriori beni; secondo, quella frase che aveva pronunciato l'uomo mentre Civanelli stava uscendo dalla basilica, suonava alle sue orecchie come una minaccia, una maledizione.
Senza alzare lo sguardo, entrò in chiesa e consegnò le tre mele all'uomo misterioso che nel frattempo non si era mosso di un millimetro.
«Grazie mille Amedeo.»
Prese le mele e le mise nei suoi tre sacchetti.
L'assassino pensò di andarsene, ma l'uomo lo fermò.
«Amedeo, fermati! Hai parlato di pace ma tu sei in pace con te stesso?»
Quello esitò.
«Amedeo, io ti assolvo dai tuoi peccati.»
Entrambi fecero il segno della croce e Amedeo s'inginocchiò e ringraziò l'uomo prima di uscire dalla basilica.
Nessuno sa che il famoso assassino di cui si parlava da anni era Amedeo Civanelli.
Nessuno sa che Amedeo Civanelli era l'uomo più ricco del mondo.
Ma soprattutto, nessuno sa che Amedeo Civanelli aveva appena incontrato San Nicola.
In realtà questo non lo sapeva nemmeno lui.
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Short StoryUna raccolta di racconti inventati di vario genere che - apparentemente - non hanno nulla in comune e ognuno è libero di interpretarle come vuole. Attraverso questi racconti, brevi o lunghi che siano, scoprirete un lato oscuro che accomuna tutti no...