Era notte. La luna giunse anche sulla villa della famiglia Fontana, nel centro di Milano.
La signora Fontana stava dormendo profondamente nel suo letto, era sola: il marito sarebbe rimasto fuori tutta la notte per lavoro.
Ogni notte sentiva sempre lo stesso rumore ma quella notte, al suo inizio, sobbalzò di scatto.
Era un soave suono di pianoforte, come se una ballerina stesse danzando tra i tasti bianchi e neri; a volte piano, a volte forte, con un graduale cambio di stile. Una mano stava accarezzando quegli infiniti tasti, regalava e diffondeva in tutta la casa note e sinfonie capaci di diffondere emozioni senza tempo.
La signora non era esperta ma ogni notte veniva ipnotizzata da quella perfetta armonia di suoni. Le tornò in mente sua figlia: il pianoforte era il suo unico amico. Quando non trovava le parole, andava da lui che era pronto ad ascoltarla. Ogni volta che si accomodava su quello sgabello, lei abbandonava la realtà e faceva danzare l'anima agli uditori.
Quando quell'amabile melodia accrebbe come un mare in tempesta, finalmente decise di alzarsi dal comodo letto e andare a dare un'occhiata.
«Non avrei dovuto mandare mia figlia in quel centro per pazzi. La pazza qua sembro essere io» borbottava mentre scendeva le scale e il suono diveniva più intenso, quasi se seguisse le emozioni della donna: flebile quando stava dormendo, breve e ripetuto come i suoi passi quando scendeva le scale, adesso era intenso e la signora si avvicinava sempre di più.
«Ludovica, sei tu?»
Chiamò la figlia pensando che forse poteva essere fuggita dal centro ed essere tornata a casa. "Ne sarebbe capace" pensò e la risposta che ottenne fu una breve composizione di un notturno di Chopin, il numero 20, per esattezza. Era il componimento preferito della figlia. Quel misterioso strumento rappresentava per lei una rinascita, era come il pennello per il pittore, la penna per lo scrittore.
Da hostess, pensò subito che avrebbe preferito essere su un aereo a esplorare terre lontane; una volta provò perfino a trascinarla su quel mezzo volante, ma non si accorse che schiacciare un tasto di quel pianoforte equivaleva per lei a viaggiare con la fantasia verso mondi lontani.
In realtà, non aveva capito niente di sua figlia. Quel notturno che definiva noioso, quello strumento a sua detta "inutile", erano come una medicina per lei ma la donna questo non l'ha mai capito. Pensava troppo al suo lavoro, quello grazie a cui, insieme a suo marito, cercava di mantenere il patrimonio familiare. Il problema è che a Ludovica non interessava né diventare ricca, né avere patrimoni da mantenere. Per lei quel pianoforte "inutile" valeva più di ogni denaro; quella musica diventata parte del suo sangue, era il mezzo per esprimersi e parlare con Beethoven, Vivaldi.
Quel dolce suono fece da colonna sonora ai pensieri della donna. La musica diventa sempre più insopportabile, come le lancette di un orologio nella buia e silenziosa notte, perché di giorno i rumori della città non permettono di sentire quasi nulla di armonioso; le persone si trovano così a immaginare musiche con il rombo delle auto, i diversi timbri della gente che insieme si uniscono in un chiacchierare disordinato. Il direttore vorrebbe trasformare queste voci in un coro e nel frattempo gli uccelli cercano in tutti i modi di far prevalere il loro pigolio, gli alberi il loro fruscio. Tutti provano a creare una sinfonia, ma uomini e donne non l'hanno permesso.
La donna pensò di avvicinarsi di più e controllare che in casa sua non ci fosse nessuna presenza sinistra, ma una parte di lei non voleva interrompere quell'armonioso insieme di suoni.
Decise comunque di proseguire ma nella stanza del pianoforte non c'era nessuno; i tasti suonavano ma nessuno li stava comandando.
Pensò di filmare quello che stava vedendo e sentendo ma sapeva che la notte successiva la composizione sarebbe stata ancora più magica e ipnotizzante.
Volle accendere la televisione per distrarsi, preparare un tè, ma non voleva sopprimere quella melodia che nel frattempo era cambiata, non era più Chopin.
"Debussy, Mozart, Schumann, Liszt?" Tirò a indovinare, ma ogni tentativo di risposta accresceva in lei un senso di ignoranza e di colpa per non essere stata più presente in passato nei confronti di Ludovica.
"Perdonami, figlia mia!" Urlò.
La musica si interruppe bruscamente, l'ultima nota udita era il terzo sol.
L'alba stava arrivando, il sole iniziava a penetrare dalla finestra.
Era mattino. Il sole giunse anche sulla villa della famiglia Fontana, nel centro di Milano.
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Short StoryUna raccolta di racconti inventati di vario genere che - apparentemente - non hanno nulla in comune e ognuno è libero di interpretarle come vuole. Attraverso questi racconti, brevi o lunghi che siano, scoprirete un lato oscuro che accomuna tutti no...