Il suono dell'anima

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Ludovica non ha mai avuto un buon rapporto con i suoi genitori.
La ragione? Dovevano lavorare.
Sua mamma è una hostess, suo papà è un camionista e per questo motivo è stata affidata a una babysitter.
Mi sono subito domandato per quale motivo la coppia appena sposata avesse deciso di avere una bambina.
La riposta fu più semplice del previsto: la loro famiglia era molto ricca e i genitori necessitavano di un erede.
Letizia era una nubile in pensione, amica dei signori Fontana. Viveva nel centro di Milano, vicino alla villa degli amici.
Quando questi chiesero il suo aiuto, lei non si tirò di certo indietro.
Il giorno seguente si presentò davanti alla casa della famiglia Fontana. Era una villa monofamiliare con un alto cancello appena verniciato e il campanello di un colore come dorato.
Letizia, vedendo Ludovica che la guardava dalla finestra, suonò decisa il campanello e il cancello si aprì automaticamente.
La porta principale era separata dall'immenso giardino da due leoni di pietra, che rivolgevano alla strada uno sguardo minaccioso.
Quando varcò l'ingresso, la donna vide la signora Fontana con una grande valigia e le diede il benvenuto spoegandole tutto quello che era necessario sapere. Il suo tono era talmente veloce che la povera babysitter quasi non riuscì a starle dietro.
Poco prima di partire per l'aeroporto, la bambina fece capolino tra le donne e salutò la madre con un grande abbraccio.
Letizia si guardò intorno: la casa era piena di souvenir che i due sposini hanno acquistato nel corso degli anni durante i loro viaggi. Le foto occupavano gran parte  delle pareti e raffiguravano per lo più i signori Fontana; erano invece poche quelle in cui era presente anche Ludovica.
La donna, che fino a quel momento era rimasta immobile all'ingresso, mosse i suoi primi passi verso il grande salone.
Era grande quasi come il giardino, il pavimento era nascosto da un tappeto e, vicino alla finestra Letizia vide qualcosa che attirò subito la sua attenzione e fece come da calamita ai suoi occhi color castagna.
Un pianoforte a coda, bianco, era posizionato accanto a una libreria ed era accompagnato da uno sgabello regolabile anch'esso bianco come la neve e la purezza che trasmetteva questo strumento suonò dolce nelle orecchie della babysitter. Accanto a questo c'era un violoncello ma Letizia si precipitò subito verso quegli ottantotto tasti bianchi e neri.
La bambina non aveva detto una parola da quando aveva visto quella che in futuro avrebbe considerato una seconda mamma; quando la signora si sedette sullo sgabello e iniziò a suonare le prime note, venne subito fermata dalla piccola che disse: «mi insegni a suonare?»
Grazie a quelle semplici parole, Ludovica crebbe tra le note di Mozart, Chopin, Beethoven, Vivaldi.
Quando cominciò ad andare a scuola, non instaurava amicizie facilmente a causa del suo carattere molto timido e introverso; in secondo luogo aveva paura che le sue nuove amiche le chiedessero di ospitarla anche solo per un pomeriggio e lei non poteva soddisfare tale richiesta poiché i suoi genitori lo avevano proibito.
La famiglia si riuniva solo per poche ore, durante le quali andavano a fare shopping nei negozi più costosi di Via Monte Napoleone. A Ludovica piaceva questa vita agiata ma invece di vestiti, gioielli e ristoranti, avrebbe preferito nuovi spartiti e tutto l'occorrente per accordare il suo pianoforte.
Nessuno ha mai contraddetto la influenza musicale della babysitter e anche quando Ludovica divenne una ragazza indipendente, Leti, come era da sempre chiamata dalla bambina, continuò a insegnarle pianoforte.
Trascorsero parecchi anni da quando la piccola Ludovica toccò per la prima volta i tasti del suo pianoforte e Letizia la affidò alle lezioni del conservatorio.
Era la vigilia di Natale e Ludovica aveva quattoedici anni. La ragazza venne chiamata per suonare il piano durante un concerto natalizio.
Quella sera era presente anche mia sorella perché suo figlio suonava il violoncello allo stesso concerto. Mi racconta che Ludovica suonava producendo una melodia che faceva danzare l'anima a tal punto che il pubblico si commosse.
Appena il concerto finì, mia sorella e mio nipote corsero a casa mia facendomi una bella sorpresa.
I genitori di Ludovica, invece, le diedero una notizia che avrebbe da quel momento cambiato la sua vita. Le raccontarono che la povera Letizia era stata trovata priva di vita sotto la sua finestra.
A Ludovica cadde il mondo addosso.
"Non è possibile", "perché avrebbe dovuto farlo", "qualcuno deve averla spinta"; queste frasi tormentavano la ragazza giorno e notte.
I genitori mi raccontano che i sintomi iniziarono solo pochi giorni dopo.
Iniziò a saltare la scuola per avere tempo per dedicarsi alla sua passione. Gli insegnanti capivano tutto ciò e le permettevano di saltare interrogazioni e verifiche ma la situazione andò sempre più a peggiorare.
La scuola che frequentava la ragazza era lontana dalla sua casa e per raggiungerla utilizzava la metropolitana. Un pomeriggio invernale il papà di Ludovica, non vedendo la figlia tornare da scuola, telefonò immediatamente ai collaboratori che gli assicurarono che era uscita dalla classe regolarmente come i suoi compagni. La ragazza varcò la soglia di casa dopo due ore circa: era sfinita.
L'uomo chiese subito il motivo di quella assurda azione e lei rispose semplicemente: «Me l'ha detto Leti. Adesso vado a suonare il pianoforte.»
Era convinta che Letizia potesse comunicare con lei e ogni volta che diceva qualcosa di strano rispondeva che "la sua Leti" le aveva suggerito tutto ciò.
Suonava giorno e notte, anche da sonnambula. Premeva tasti acuti di composizioni difficili senza però mai sbagliare una nota.
I genitori la definirono inquietante e arrivarono persino a legarla al letto ma lei riusciva sempre a sciogliere anche i nodi più complicati.
A scuola i problemi si fecero più evidenti: Ludovica era diventata solitaria, aggressiva e la sua media era scesa drasticamente. È stata sospesa per aver picchiato una sua coetanea che sosteneva che il pianoforte fosse uno strumento noioso.
Ma grazie a questi eventi, ha capito il significato della vera forza. Non trascorreva più tempo con le sue amiche che la ritenevano diversa e pericolosa ma aveva imparato a camminare a testa alta quando tutti la deridevano.
I genitori non sapevano più che cosa fare. Psichiatri, psicologi, controlli celebrali, specialisti di vario genere. Ludovica risultava sana come un pesce e si rifiutava di aprire bocca.
Nel frattempo le indagini sulla morte di Letizia non si erano mai fermate ma non diedero mai alcuna svolta; tutti i dati raccolti erano a favore della tesi del suicidio ma la ragazza non ci voleva assolutamente credere.
Dopo esattamente nove mesi dal tragico incidente, la famiglia decise di rivolgersi al centro più specializzato di Milano, situato dalla parte opposta della città dalla loro abitazione.
Era da poco trascorsa l'Epifania, il clima era gelido. La famiglia si presentò sull'ingresso. La madre indossava una pelliccia nera e enormi occhiali da sole nonostante il cielo uggioso. Il padre era vestito in giacca e cravatta, mentre la figlia indossava un vestito rosso di velluto lungo fino alle ginocchia.
Nora, la segretaria, stava raccogliendo i dati anagrafici della ragazza, quando la raggiunsi.
«Buongiorno, sono il dottor Ivan Pirozzi. Lieto di fare la vostra conoscenza» dissi.
La signora Fontana abbassò subito gli occhiali e mi schierò dall'alto al basso.
«Piacere nostro, dottore» rispose il marito stringendomi la mano.
Nora mi riferì che aveva già provveduto a spiegare il programma della giornata che si sarebbe prolungato a tempo indeterminato, nel quale la nostra nuova paziente sarebbe rimasta sorvegliata senza sosta e concessa ogni desiderio ritenuto adeguato.
Quando salutai Ludovica, lei non rispose ma mi guardò con occhi pieni di tristezza e compassione.
In tutto l'edificio c'erano meno di cinquanta ragazzi in un'età compresa tra gli undici e i diciassette anni. Ogni medico aveva in custodia tre o quattro pazienti e io ero stato assegnato alla ragazza. La cosa non mi ha stupito poiché l'anno scorso sono entrato nel Guinness World Record per aver ottenuto la laurea in psicologia e la specializzazione in psichiatria, neuropsichiatria infantile e neurologia in poco più di un anno; di conseguenza, quando i genitori Fontana hanno chiesto un esperto in materia, non mi sono tirato indietro.
Per tutto il giorno Ludovica non disse una parola. Al momento della cena - e in generale al momento di ogni pasto - la maggior parte dei pazienti si rifiutava di mangiare ma Ludovica aprì bocca solo per nutrire il suo corpo con alimenti salutari e nutrienti.
La sera, Bianca, la donna delle pulizie, finì di sistemare la stanza e mostrai alla ragazza la sua nuova camera. Era una delle più grandi: aveva un letto singolo, un divano, un tavolo con delle sedie, un armadio in cui riporre la valigia e i vestiti e un'ampia vetrata con vista sul Duomo di Milano.
Il giorno dopo la ragazza si svegliò di buon umore senza che nessuno l'avesse sentita suonare il piano la scorsa notte.
Ludovica non parlò quel giorno, né i giorni successivi. Gli altri ragazzi provavano a starle vicino e a farle qualche domanda, ma lei non rispondeva.
Mi suscitarono molta ammirazione le sane abitudini alimentari della nostra paziente. Mangiava frutta e verdura cinque volte al giorno, beveva moltissima acqua e durante la merenda, mentre i suoi compagni preferivano patatine o caramelle, lei mangiava fragole, banane, mele. Forse con queste ultime cercava di togliermi di torno.
Pochi giorni dopo il suo arrivo, giunse il giorno del compleanno del dottor Claudio Marini e di sua sorella Noemi, anche lei dottoressa.
Quest'ultima ha in cura la giovane Eva che, per qualche motivo, non riesce a sentire alcune parole come casa, albero, sedia. Nessun otorino è mai riuscito a capire per quale motivo il suo cervello isoli determinati vocaboli che non hanno nulla in comune. La famiglia vuole molto bene alla figlia e determinati a trovare una soluzione, hanno viaggiato dalla Sardegna per affidare la piccola nelle nostre mani.
È una ragazzina molto vivace e pur essendo la più giovane, si è subito ambientata e ha fatto amicizia anche con i ragazzi più grandi.
Non esitò a raggiungere Ludovica con un pezzo di torta. «Tieni» disse. «È al cioccolato. La vuoi?»
La ragazza le lanciò un'occhiata di gratitudine e gustò il prezioso dono, mentre Eva corse verso il suo amico Flavio che, per qualche ragione, piange ininterrottamente da parecchie settimane.
Sono ormai trascorsi alcuni mesi da quando abbiamo accolto la signorina Fontana.
Ludovica si è integrata molto bene con i compagni e ha già effettuato alcune visite che hanno prodotto scarsi risultati.
Una soleggiata mattina di primavera, quando l'inverno cominciava a essere un vago ricordo, vidi Bianca che stava mostrando un vecchio pianoforte alla ragazza. Mi misi ad ascoltare dietro la porta e nessuna sembrò accorgersi della mia presenza.
Poi Ludovica iniziò a suonare.
Era una melodia che non conoscevo ma la stava interpretando magnificamente. Ogni tasto, una nota. Ogni nota, un'emozione unica. La sua musica era una benedizione per le orecchie e per l'anima. Con quelle dita sottili e fredde, produceva qualcosa di indescrivibile, unico nel suo genere.
La musica ipnotizzò me, i colleghi e i ragazzi, che si erano radunati dietro la porta ad ascoltare. Improvvisamente la musica finì e Flavio smise di piangere.
In quel momento Ludovica si accorse che la stavamo ascoltando: si alzò dallo sgabello, abbozzò un sorriso forzato, fece un inchino e tornò nella sua stanza circondata dagli applausi.
Esattamente un anno dopo il suo arrivo, i signori Fontana arrivarono nel nostro centro. Ludovica non voleva vederli e durante la loro breve permanenza, non separò un minuto la sua mano da quella di Bianca.
Le portarono molti regali, tra cui un pregiatissimo carillon con una ballerina di flamenco che danzava e il suo vestito e la scatola erano costernati di pietre preziose.
Le regalarono anche un banjo ma appena i suoi genitori uscirono dall'edificio, lo regalò a Flavio che era pronto a lasciare il centro. A Eva donò invece una bambola proveniente da Mosca e lei divenne la ragazzina più felice dell'universo.
Una mattina, che sembrava essere una normale mattina estiva, in centro regnò il caos. Nessuno riusciva a trovare Ludovica. Insieme ai colleghi e ai ragazzi perquisimmo tutto l'edificio, suonammo i campanelli degli uffici confinanti, ma nessuno riusciva a trovarla. Non si fece viva né per pranzo, né la sera; trascorremmo la notte ad aspettare che tornasse, ma niente.
Avvisammo immediatamente carabinieri, polizia e i genitori che diffusero la notizia. Il centro venne invaso da giornalisti regionali e nazionali.
Mentre stavo perseguendo la sua stanza, trovai un quaderno rosso fuoco. Aprendolo, capii che era di Ludovica: c'erano scritti spartiti per pianoforte, date dei concerti e alcune pagine di un diario personale. Come immaginavo, la ragazza scriveva che Letizia le aveva imposto di non parlare e fare tutto quello che faceva. Quando suonava, scriveva, era come se la babysitter prendesse il controllo delle sue mani e le facesse danzare tra i tasti bianchi e neri.
Le erano state imposte tali cose perché, stando a quanto scritto, doveva prepararsi a raggiungere un'altra dimensione, sconosciuta agli umani. Non l'aldilà, qualcosa di più oscuro.
Molte domande senza risposta affliggono ogni giorno gli uomini.
Chi siamo? Da dove veniamo? Dove andiamo? Ma soprattutto, dov'è Ludovica? Chi ha ucciso la povera Letizia?
Nessuno è ancora riuscito a dare una risposta e forse mai nessuno ci riuscirà.

Fine

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