Era ormai da un mese che ero in cammino. I piedi non ne potevano più, i capelli e la barba erano arruffati e sporchi, lo zaino era così consumato che si sarebbe rotto da un momento all'altro, ma nulla mi importava.
Certo, avevo molti soldi in tasca, ma giurai di spenderli solo per le emergenze. L'unica cosa che mi interessava era camminare: dovevo portare a termine questo viaggio per me e per tornare a casa ed essere una persona migliore.
Quando raccontai dell'idea ai miei amici, loro mi presero per pazzo: dicevano che era un viaggio troppo lungo e pericoloso, che nessuno mi avrebbe aiutato e mi sarei arreso. Eppure, eccomi qua, non mi sono arreso e non ho intenzione di farlo.
Dopo giorni e giorni di cammino in città, dopo aver conosciuto nuove persone, imparato nuove lingue e sperimentato nuove culture, mi sono ritrovato in campagna. La carta geografica e la bussola che avevo comprato prima di partire mi erano state di grande aiuto.
Giunsi a un laghetto. Non esitai ad immergermi per lavarmi e riempire la mia borraccia con dell'acqua che sgorgava da un ruscello vicino. In mezzo al verde trovai perfino un parrucchiere. Decisi di entrare per avere, per lo meno, un aspetto presentabile.
«Come mai un parrucchiere in mezzo alla campagna?» Chiesi mentre gli esperti svolgevano il loro lavoro.
«In città non abbiamo trovato un luogo adatto; poi qui le persone lavorano tanto e non hanno tempo di abbandonare il raccolto e recarsi in città.»
Raccontai a loro del mio viaggio: mi dissero che ero coraggioso e mi diedero da mangiare i prodotti del loro orto e si offrirono di ospitarmi per la notte.
Ringraziai, mangiai e dormii come mai avevo fatto negli ultimi mesi; mi sentivo come fossi in paradiso.
Il giorno seguente mi svegliai pronto a ricominciare a camminare ma, nonostante avessi la mia fidata cartina e bussola, mi accorsi che mi ero perso, e la mappa non era così ben risoluta per dirmi esattamente dove andare.
Non mi rimase altro che chiedere qualche indicazione alla gente del luogo.
Trovai una casetta di mattoni che cominciava a mostrare i segni del tempo: le finestre avevano i vetri rotti, il tetto mancava di alcune tegole, i fiori sulla porta erano appassiti. Pensai fosse disabitata e decisi di entrare.
Quando varcai l'ingresso mi stupii.
L'eleganza, l'ordine e la pulizia dell'interno erano impressionanti; sembrava quasi di essere entrato in una casa completamente diversa. C'erano soprammobili in vetro e un caminetto ma non riuscii a vedere bene perché il proprietario era all'ingresso.
Era un uomo sulla mezza età, capelli castani che delineavano la fronte ampia e arrivavano fino agli occhi stanchi e grigi. Dal suo abbigliamento rattoppato ma pulito mi resi conto che stava uscendo di casa.
«Mi scusi se sono entrato in casa sua senza permesso, ma la porta era aperta e dall'esterno questa casa non sembrava così bella...» Era immobile, con gli occhi spalancati e le sopracciglia alzate formavano delle piccole rughe. Decisi di andarci piano.
«Sto compiendo un viaggio e vorrei che mi indicasse la strada per il centro della città.»
Niente. Forse non capiva la mia lingua; provai allora a parlargli nelle numerose lingue che conoscevo, ma niente. Provai a imitare il linguaggio dei segni, ma niente.
Chiesi dove avesse intenzione di andare e questa volta mi rispose semplicemente: «È nato.»
«Chi?»
«Come? Non lo sa? Si tratta di... Oh, com'è tardi» rispose, alzando lo sguardo verso l'orologio in legno da parete e scappò via.
Per essere cortese gli chiusi la porta di casa.
Continuai a camminare. Il sole cocente mi bruciava i piedi ma il cappello di paglia si rivelò molto utile e avevo ancora abbastanza acqua con me.
Giunsi alla fine di un sentiero e mi sembrò di vedere un albero di banane. Banane? Crescono dall'altra parte del mondo e quel terreno non era di certo adatto a far crescere dei caschi dall'aria così matura.
Fui al settimo cielo quando mi resi conto che non era un miraggio. Diedi un'occhiata veloce per assicurarmi che non ci fossero abitazioni o altro e mi lanciai verso quell'albero. I frutti erano squisiti, mangiai fino a sazietà.
«Ehi, tu, che cosa stai facendo?»
Una voce femminile mi riportò alla realtà di quel paradiso.
Mi voltai.
Era una donna anziana, con i segni dell'età in volto e un abbigliamento tipico campagnolo da lavoratrice.
Aveva un'andatura saltellante e canticchiava il ritmo di una canzone popolare.
«Mi perdoni, avevo solo fame, non sapevo fosse sua questa proprietà» e mi tolsi il cappello in segno di dispiacere.
«Non è mio, mangia pure quanto vuoi.»
«Come mai c'è un banano qui in questo luogo?»
«E io che cosa ne so?»
«È NATO!» Urlò a gran voce.
«Chi è nato? Non sono di qui, che cosa succede?»
«Allora che cosa ci fa da queste parti?»
«Sto compiendo un viaggio, mi piacerebbe incontrare il Papa»
«Il papa? Chi è? Mai sentito nominare.»
Pensai fosse atea o che non avesse capito la mia pronuncia ma mi stupii per il fatto che non conoscesse il Papa, una delle figure più importanti della religione cattolica e non solo.
«Posso chiederle un'informazione?»
Ma era troppo tardi: anche la signora era già corsa via continuando ad urlare quelle parole misteriose.
Forse dovevo seguirla per capire che cosa stesse succedendo, ma mi ritornò in mente quello che era successo molti anni fa, durante un altro viaggio.
Ero giunto in una città che conoscevo bene grazie alla sontuosa chiesa che sorgeva imponente al centro di essa. La siccità che aveva stravolto il pianeta aveva avuto conseguenze terribili; il malcontento generale aveva invaso soprattutto i contadini e i piccoli proprietari che non disponevano di materie prime sufficienti per portare avanti la loro attività.
Mentre continuavo per la mia strada, un uomo sulla quarantina, accompagnato da un bambino che aveva l'aria di essere suo figlio, salì in piedi a una scatola di legno e si mise a parlare in una lingua in parte comprensibile alla folla che, incuriosita dal suo gesto, si era radunata intorno a lui e al bambino.
«Concittadini» esordì. «Vi siete chiesti quanto denaro vi è mancato in questi durissimi giorni? Quanti vostri uomini, donne, bambini, animali si sono lamentati perché non avevate abbastanza cibo? Lavoriamo, lavoriamo, continuiamo a lavorare ma non veniamo mai pagati abbastanza, e i vostri titolari sostengono di non avere soldi per darli a voi. Intanto là fuori c'è chi guadagna milioni. Voi vi chiederete come sia possibile: ebbene, è tutta colpa delle grandi aziende. Sono state loro a causare la siccità, sono state loro a tenere con sé tutto il denaro delle nostre banche. Perché i vostri amici e parenti che si sono trasferiti nei luoghi dove sorgono le multinazionali adesso vivono come dei maharaja? Hanno capito che nelle nuove città il denaro cresce come i loro capelli e le loro unghie. Vi assicuro che anche nella nostra città, la nostra piccola città invidiata da tutti, il denaro c'è e noi, insieme, dobbiamo riprenderlo.»
«Riprendiamocelo!» Urlarono tutti.
«Volete continuare a essere trattati come bestie o preferite invece combattere per riacquistare i vostri diritti?»
«Combattiamo!» La tristezza e la paura avevano lasciato posto a sguardi di speranza.
«Allora seguitemi, andiamo subito nel luogo dove si trova l'organo che gestisce le casse dello stato.»
Gli abitanti urlavano di gioia e anche il bambino faceva eco all'uomo con degli "evviva", "urrà".
Non so che cosa mi balzò per la testa ma decisi di seguirli. Era difficile stare al loro passo perché i miei piedi iniziavano a chiedere pietà; tuttavia, mi fermai dopo pochi metri perché l'arringa mi aveva fatto fare ritardo e secondo la mia tabella di marcia sarei già dovuto essere fuori dalla città mezz'ora prima.
Ringraziai la mia saggia scelta perché scoprii in seguito che i rivoltosi, non solo non erano riusciti a penetrare nell'edificio, ma erano anche stati arrestati e molti di essi uccisi dalle forze dell'ordine.
Ripensando a quell'evento, mi resi conto che non sarebbe stato conveniente seguire quelli che ripetevano continuamente che era nato chissà chi.
Proseguii il mio cammino e mi accorsi che più andavo avanti, più la distesa di campi sembrava non finire mai: da qualsiasi parte mi giravo, vedevo solo prati verdi e qualche casetta che dava un po' di colore.
Dopo il bagno al laghetto e il rifornimento di cibo al banano, mi sentivo pieno di energia e iniziai a fischiettare alcune canzoni popolari nel mio paese con i miei passi che tenevano il ritmo.
Non esiste sensazione migliore di quando tu pellegrino ritrovi la retta via: secondo la mia mappa e la mia bussola, mi stavo dirigendo proprio nella direzione giusta.
I giorni passarono, trascorsi le notti dormendo dove capitava: sotto i ponti, vicino agli alberi... Con la luna che dominava il buio e le stelle luminose come unica compagnia, non riuscivo a togliermi dalla testa quelle parole.
Chi era nato? E perché era così importante?
Camminavo e dormivo tormentato da questi pensieri che mi distolsero dalla realtà fino a quando realizzai di essere uscito dal villaggio; mi voltai indietro e vidi che le distese di campi verdi avevano lasciato posto alle città di duro cemento. Mi domandai anche se negli altri paesi si esultava per il neonato.
Attraversai le porte della nuova città e un uomo anziano mi indicò l'ostello più vicino.
Penso che gli ostelli siano la cosa migliore mai inventata dopo le bussole: agli ostelli mangi cibo buono, dormi in letti confortevoli e conosci pellegrini come te provenienti da ogni angolo del mondo, il tutto a un prezzo vantaggioso.
Trascorsi le settimane camminando tra mari e monti, saltando da un ostello all'altro e finalmente, dopo mesi e mesi di cammino, trovai l'indicazione per la residenza papale. Si trattava di un edificio imponente preceduto da alcuni gradini e su uno di questi vidi una cesta abbandonata. Mi avvicinai e vidi il dolce viso di un neonato che giocava con la sua copertina e non piangeva. Mi guardai intorno ma nessuno sembrava preoccuparsene.
«Che cosa ci fa qui?» Un uomo, che doveva essere una delle guardie del Papa, si avvicinò a me.
«Sia benedetto il cielo! È suo questo bambino?» Negai e lui guardò dentro la cesta per cercare qualche bigliettino o avviso, ma niente.
Assicurò di essere un grande esperto di bambini e ipotizzò una data di nascita. Spalancai gli occhi dallo stupore dopo che, fatti alcuni calcoli, mi resi conto che quello era proprio il giorno in cui la gente iniziò a esultare e a parlare di quella misteriosa nascita.
Quanti bambini potevano essere nati quel giorno? Risposta: nessuno. Era stato l'unico giorno della storia dell'umanità in cui si era registrata solo una nascita, quella del nuovo bambino.
«Comunque» dissi alla guardia. «Ero venuto per incontrare Vostra Santità: sa, ho fatto un lungo cammino...»
«È lui, il nostro pontefice, nominato dal giorno in cui è nato» mi interruppe indicando il bambino.
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Short StoryUna raccolta di racconti inventati di vario genere che - apparentemente - non hanno nulla in comune e ognuno è libero di interpretarle come vuole. Attraverso questi racconti, brevi o lunghi che siano, scoprirete un lato oscuro che accomuna tutti no...