Russia x America - private

576 15 9
                                    

[Avevo bisogno di scrivere una rusame personale per cercare di rilassarmi e concentrarmi qwp in ogni caso, sto lavorando sulle richieste e ~attenzione attenzione~ su DUE libri countryhumans ;3 ma non so dirvi quando usciranno, quindi abbiate MOOOOLTA pazienza]

Durante la prima ondata ero riuscito a salvarmi grazie ad un colpo di fortuna così assurdo che ancora faccio fatica a credere che sia successo davvero. Insomma, fosse stato un giorno come tutti gli altri mi sarei alzato, avrei bevuto un caffè annacquato mentre mi vestivo, sarei andato al mio noioso posto di lavoro in un altrettanto noioso palazzone grigio e sarei probabilmente morto insieme a tutti i miei colleghi e alle altre persone che giravano per il centro a quell'ora.
Invece, proprio quella mattina, mentre aspettavo che la mia macchinetta singhiozzante finisse di versare il cappuccino che volevo bere, mi aveva telefonato una lontana parente che non ricordavo di conoscere e mi aveva avvertito che un nostro cugino (anche lui un completo sconosciuto per me) era deceduto e aveva bisogno di qualcuno che andasse nella sua villa a preparare le sue cose per il testamento. E, guarda un po' te, il più vicino alla vecchia casa di periferia in cui viveva ero proprio io.
All'inizio avevo pensato che fosse una specie di scherzo, magari la telefonata veniva registrata da qualche programma comico oppure si trattava di uno di quegli esperimenti sociali che giravano spesso online. Ma la signora che mi parlava dall'altro capo della cornetta sembrava serissima e in riposta ai miei dubbi sul nostro legame familiare aveva risposto con un – Non ti ricordi di me perché l'ultima volta che ci siamo visti portavi ancora il pannolino. È stata tua mamma a tenermi aggiornata sulla tua vita, sei diventato proprio un bravo ragazzo –
Dato che non avevo la forza mentale di crearmi ulteriori problemi, facendo un torto a chissà quale parente che mi avrebbe fatto odiare, avevo deciso di accettare quell'incarico. In fondo non sembrava una cosa troppo complessa.
Così, un permesso lavorativo e venti minuti di autobus dopo, ero davanti alla casa del cugino morto.
La prima cosa che pensai non appena la vidi fu "Questa è proprio una casa di merda"
L'intonaco era di un grigio smorto che ricordava la pelliccia dei ratti, le ante delle finestre continuavano a cigolare sui cardini arrugginiti e l'intera struttura avvolta nell'edera sembrava pendere da un lato. Ero sul punto di piangere per la frustrazione.
Per fortuna, la caffeina in circolo nelle mie vene mi diede la forza di percorrere il vialetto ed entrare nell'ingresso polveroso.
E mentre io, ignaro di tutto, sistemavo in pile ordinate le inutili riviste ingiallite di un uomo che non avevo mai visto in tutta la mia vita, il mondo al di fuori di quella casa veniva distrutto da degli esseri sconosciuti, mostruosi, superiori.
Da quanto riuscii a capire nei giorni successivi, ascoltando la radio e sbirciando fuori dalle persiane, le astronavi erano entrare nella nostra atmosfera senza che venissero rivelate da nessun satellite. Erano semplicemente apparse, dal nulla, nel cielo.
Come prima cosa, erano stato attaccate le basi militari e i governi degli stati, per lasciarci cadere nel panico senza nessuno a guidarci.
Poi, era cominciato il setacciamento. Gli alieni erano scesi dalle loro gigantesche macchine in ogni città e avevano raccolto gli umani per riportarli indietro con loro. Qualcuno credeva che le persone catturate venissero mangiate, altri che fossero usati come schiavi in non so quali miniere spaziali uscite direttamente da Star Wars. I più ingenui parlavano soltanto di "ricollocazione" in un pianeta migliore, dato che la Terra stava vivendo i suoi ultimi anni.
Ma la verità era evidente a tutti, anche a chi non voleva accettarla: ci prendevano per ucciderci, solo per il gusto di farlo, senza nessuna motivazione nascosta. Erano più forti e potevano farlo, quindi lo facevano.
L'unico modo per sopravvivere era rimanere nascosto il più a lungo possibile.
Nei primi mesi non fu difficile, la villa era spaziosa e di cibo ce n'era in abbondanza, probabilmente quel vecchio parente era una specie di complottista e si era riempito la dispensa di scatolette di carne.
Il problema era, man mano che passava il tempo, rimanere sano di mente.
Ero solo, forse in tutto il mondo, e anche solo uscire sul portico della casa era diventato estremamente pericoloso visto che mezzi di trasporto alieni di ogni forma e dimensione giravano per le strade, frugando in ogni posto alla ricerca di persone da catturare. Restare chiusi in un posto a lungo andare ti faceva impazzire.
Poi, notai un'altra cosa che non avevo messo subito in conto: mi era impossibile recuperare delle medicine. E mantenere la villa calda senza elettricità era troppo complicato, il che voleva dire che con l'arrivo dell'inverno arrivarono anche le malattie. Iniziò con un semplice raffreddore, seguito da una tosse che mi faceva quasi soffocare. Dopo qualche giorno, cominciò a venirmi la nausea e in poco la febbre.
Per passare il tempo avevo letto alcune delle riviste sparse per i cassetti e a quanto pareva mi ero preso una polmonite, una di quelle che senza antibiotici ti distruggono.
Era così che mi ero ritrovato una notte a rigirarmi nel vecchio letto sporco della camera padronale, con la testa che mi esplodeva, i polmoni che bruciavano così tanto da sembrare pieni di fuoco liquido e una febbre così alta da farmi vedere cose che non esistevano sul soffitto.
Ero talmente fuori di me per il dolore che dovevo essere rotolato giù dal letto, perché un tonfo era riverberato per tutta la casa e io sentivo le fredde assi di legno del pavimento sotto la guancia.
Proprio mentre cercavo di tirarmi su con quel minimo di cervello ancora lucido, nella mia visuale scura e tutta sfocata comparvero due stivali, di un tipo che non avevo mai visto.
Alzai lentamente gli occhi, sentendo il terrore che cresceva sempre di più ad ogni centimetro, e deglutii lentamente quando arrivai al viso dell'uomo (se così si poteva definire) e, soprattutto, al fucile pulsante di energia viola che stringeva tra le mani.
Era simile a me, alla mia specie, per nascondersi e ingannarci, ma gli innaturali occhi azzurri, chiari e brillanti, non mi lasciavano dubbi: nel mio momento di maggiore debolezza, ero stato trovato da uno degli alieni.
- T-ti prego... - sussurrai prima ancora di rendermene conto, rotolando a pancia in su e boccheggiando con la fronte imperlata di sudore - Lasciami... lasciami in pace... -
L'alieno non rispose, continuando ad osservarmi impassibile e a stringere il suo fucile.
- Sto morendo lo stesso - continuai, sentendo che la febbre ricominciava a salire e a riportarmi nel delirio della malattia - Lasciami in pace e basta... per favore... -
L'alieno fece un passo in avanti, come indeciso sul da farsi, poi sbuffò e mi sollevò da terra - Stai zitto e basta, sprechi energie -
Feci un verso strozzato sentendomi ributtare sul letto e subito mi trascinai verso i cuscini per prenderne uno - No, no, non uccidermi... -
- Non ti farò niente, ma ora devi stare fermo e zitto - rispose l'alieno, sbuffando appena e costringendomi senza troppa fatica a girarmi verso di lui - Voi umani avete una costituzione debole per natura, ma tu sei proprio messo male -
- Debole ci sarai - brontolai chiudendo gli occhi e arrendendomi, tanto non avevo molte possibilità di ribellarmi. Mi limitai a rimanere tranquillo e controllare il respiro, mentre quell'essere si prendeva cura di me. Non capivo perché lo stesse facendo, ma di sicuro non mi lamentavo. Soprattutto perché il mattino dopo stavo bene, come se non mi fossi mai ammalato.
Mi alzai lentamente dal letto, guardandomi attorno sospettoso per cercare di capire se c'era davvero un alieno in casa mia o mi ero sognato tutto. C'era davvero, scoprii in poco quando quello strano "uomo" salì in camera e mi osservò dalla porta a braccia incrociate - Ti sei svegliato finalmente. Sappi che sei stato proprio fastidioso mentre deliravi, continuavi a dire cose senza senso e a cercare di scappare -
Feci una smorfia e senza pensare risposi a tono - Chissà perché, visto che a tenermi compagnia c'era soltanto un essere che assassina quelli come me come se fossimo scarafaggi, niente di che -
- Pure antipatico oltre che rompicoglioni - mormorò l'alieno per poi avvicinarsi a me e ficcarmi sulla testa uno degli elmi che avevo visto indossare ai soldati extraterrestri durante le loro cacce - Ora obbedisci e fai poco casino, ci siamo intesi? -
Aggrottai le sopracciglia confuso e sollevai il bordo del casco per osservarlo - Perché? Cosa devo fare? -
- Vuoi vivere, no? E l'unico modo per farlo è fingere di essere uno di noi - spinse di nuovo giù l'elmo per coprirmi la faccia (lo aveva fatto apposta il maledetto, perché lo sentivo ridere nel frattempo) e mi diede in mano quella che sembrava una pistola - Non provare a sparare, rischi solo di farti scoprire. Il congegno si attiva solo se chi la impugna possiede il nostro codice genetico. Quindi in mano tua è praticamente inutile, un giocattolo -
Ignorai la spiegazione e continuai a fissarlo da dietro al visiera - Perché mi stai aiutando? Non mi fido -
- Cosino, se avessi voluto ucciderti lo avrei fatto stanotte. E mi stai simpatico, tutto qua. Sei carino. Ora muoviti, non posso restare a lungo via dalla nave senza che comincino a chiedersi cosa sta facendo il colonnello in giro da solo -
Uscimmo di casa e in poco salii su una delle astronavi che avevo visto da lontano, senza che nessuno dicesse niente. Il mio nuovo amico (anche se non mi fidavo di lui, non ancora) sembrava davvero intenzionato a portarmi via da lì sano e salvo e mi trattava come se fossi uno dei tanti soldati che lavoravano per conto suo.
Non era poi così male, in fin dei conti.
Una sera, dopo che mi ero nascosto in una delle stanze per togliermi l'elmo qualche minuto, mi raggiunse e mi porse una scatola di gelato.
Lo guardai con gli occhi sgranati e subito mi misi a mangiarlo, sentendo la sensazione di quotidianità tornarmi addosso con la forza di un treno
- Grazie stramboide - dissi con la bocca piena e sporca di gelato, rimanendo seduto contro la parete.
L'alieno sorrise appena e si mise accanto a me per rubarmi qualche cucchiaiata - Russia -
- Che? - chiesi confuso - Che suono è quello? -
- È il mio nome. Mi chiamo Russia -
- Oh... io sono America -
- Piacere di conoscerti. Magari nei prossimi giorni riesco a portarti qualcos'altro dal tuo mondo -
Gli rivolsi un sorriso contento, un barlume di affetto che si accendeva nei miei occhi. Non sembrava troppo male, in fondo in fondo.
- Grazie, mi farebbe piacere -

Countryhumans One-shotDove le storie prendono vita. Scoprilo ora