Capitolo 70

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La notte passa e tutto si fa sentire

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La notte passa e tutto si fa sentire. Il sapore di alcol ritorna, imprimendosi sulla lingua insieme a tutti i ricordi del mio passato, che, m'invadono la mente. Le reminiscenze tornano confuse dal dimenticatoio in cui li avevo rinchiusi. Riappaiono chiaramente come se il tempo non fosse mai passato. È come ripescare dalla soffitta della mia memoria una pellicola in bianco e nero... E dopo averla rispolverata si riavvolge con parsimonia, proiettando ogni istante passato, catturato dalla cinepresa della mia infanzia, magari le immagini sembreranno un po' annebbiate e sbiadite, ma non per questo sono meno vivide. 

Il me adolescente che combatte con un mostro più grande di sé stesso, la voce di TJ che, con ostinazione, urla ai suoi genitori che io per lui sono il suo migliore amico, l'aiuto che mi ha dato quando non sapevo nemmeno di averne bisogno, la sua testardaggine d'insistere e non demordere di fronte ai miei taciti silenzi e al mio essere irremovibile nel respingere l'amicizia di tutti, rifiutandola. Adesso, ho la testa che mi scoppia e delira nel suo caos. Ci ho pensato tutta la notte fino ad ora e l'unica soluzione giusta è quella che ho già intrapreso.

Non esistono alternative, TJ è stato l'unico ad esserci stato anche quando l'ho odiato per la sua invadenza nell'intromettersi nella mia vita. Avevo giurato a me stesso che avrei cercato di cancellare il debito, e oggi, sto mantenendo la promessa che ho fatto quel giorno. Non può essere altrimenti... E mi dispiace tanto per noi piccola Hel, ma non c'è e non ci sarà mai un destino che ci vedrà uniti. 

Così, alle prime luci del mattino, con questi pensieri che mi distruggono la mente, stanco nel corpo e nell'anima, mi alzo in piedi malfermo sulle gambe. M'incammino verso la mia Harley Davidson, abbandonando definitivamente quel parco, scenario di mille risse, di un piccolo me instabile, pervaso di rabbia e di emozioni troppo intense per non essere scagliate contro chi mi prendeva di mira, facendo della mia persona un bersaglio. Con questa opprimente consapevolezza addosso, sono pronto a tornarmene a casa. La mano che tiene la chiave trema un po', ma riesco a inserirla e accendere il motore della moto. Ci salto sopra e accelero dando gas e facendo scattare la mia Harley in avanti. Sbando molte volte ma poi riprendo il controllo. Scorrendo via sulla strada, cancello il mio passaggio in un attimo, cessando di esistere. Mi confondo tra gli altri individui che piccoli, occupano lo sfondo della città.

Non appena sopraggiungo al mio quartiere, mi faccio forza e posteggio la mia piccola nel suo box personale. Distrutto e nauseato da me stesso, prendo l'ascensore e raggiungo il mio attico. Faccio scattare la porta e senza speranza mi dirigo al piano di sopra. Non faccio nemmeno caso ai vestiti bagnati che mi ritrovo appiccicati addosso, sulla pelle oramai fredda a causa dell'aria gelida della notte. Arrivato sulla soglia della mia camera da letto, apro la porta ed è lì che la vedo. Dapprima mi sembra un ologramma dettato dal mio desiderio di averla qui con me, poi scuoto il capo, chiudo gli occhi e li riapro; ma quando lo faccio, la sua dolce figura fragile e delicata si scaraventa, materializzandosi nella realtà... Ed io mi perdo. 

Il sangue si agita impazzito e tutta la mia frustrazione già piena fino all'orlo si abbatte su di lei. Non vedo più niente, non esiste ragione che mi tenga sotto controllo. Quando si accorge di non essere più sola, drizza il viso sepolto dalle sue braccia piegate e i suoi occhi scossi incontrano i miei. «Chad!» Esclama, quasi sollevata di vedermi. Un attimo. Mi basta un solo secondo per distruggere tutto e chiuderle la bocca. Quelle labbra che bramo soltanto per il mio piacere. Le stesse che ho baciato, succhiato, mordicchiato e reclamate come mie... Marchiandola per sempre del mio nome che adesso, può solo essere il nome di un diavolo dannato e condannato all'inferno, privato dell'esistenza dell'unica donna di cui gli importa. Recluso come Lucifero, nella mia prigione personale, non potrò più godere della sua presenza, della sua dolcezza, delle sue risate, del suo essere lei... Dovrò convincermi a convivere per l'eternità in assenza di lei, la mia Helena che non c'è e non ci sarà più per me. 

Senza pensare, l'afferro per il braccio e la trascino via, facendola alzare dal mio letto. «Ti ho detto che non voglio mai più vederti né tanto meno averti intorno! Quale parte del mio discorso, ti è meno chiara?» Urlo, perdendo ancora una volta il senno. «Chad, ascoltami ti prego!» Mi supplica con voce rotta. Scendiamo le scale e lei mi segue imperterrita, ha paura di cadere ma io sono più forte e la tengo ben stretta per non permetterglielo. Dopo averle percorse, la spingo verso il salone ma Helena cerca di fare resistenza. Si impunta coi piedi e cerca di scuotermi, di farmi tornare in me, ma nulla è in grado di farlo. Nemmeno quel bambino che porta in grembo. «Non me ne frega un cazzo di chi ti sei fatta mettere la lingua in bocca! Ti voglio fuori di qui!» Lei protesta, dibatte ancora, proteggendosi dai miei insulti.

Sapendo bene che non otterrò altro che ostinazione da parte sua, decido di non tornare più indietro ed uso parole che non penso e che mai avrei considerato di dirle, le stesse che non mi permetteranno di avere nessun perdono. «Forse non è stato nemmeno uno sbaglio, forse sei stata proprio tu a farti mettere incinta dal primo coglione che ha incrociato la tua strada e hai dato la colpa a mio fratello. Infondo, ti sei fatta baciare così facilmente... Chi mi dice che non hai aperto le gambe di tua spontanea volontà?» Gli dico con tono beffardo, piegando le labbra in un sorrisetto sghembo che con fatica, riesco a mettere su per mostrarmi insensibile.  Non appena pronuncio l'ultima parte del discorso, un fortissimo manrovescio mi colpisce in piena faccia. Mi raddrizzo, toccandomi il mento per impuntarmi sulla sua figura e incrociare così il suo volto.  Vedo il suo bellissimo viso invaso dalle lacrime, contorto dalla rabbia per le mie pesantissime insinuazioni. 

«Basta così! Per oggi mi hai umiliato abbastanza!» E senza avere la forza necessaria di rimanere un minuto di più davanti ai miei occhi intrisi di accuse, evita con dignità di crollarsi addosso dinanzi a me. Rifugge il mio sguardo e reprime la voglia che ha di affrontarmi, così ansante di collera repressa, si volta percorrendo il salone in fretta e furia. Arriva alla porta d'ingresso, la spalanca ed esce via dal mio appartamento, dalla mia vita ma mai dal mio cuore. Lì non potrà mai uscire perché soltanto lì, lei rimarrà intoccabile. Sarà sempre la parte più importante di me stesso. Lei e il bambino saranno miei per sempre, nell'angolo più nascosto della mia anima, loro vivranno dentro di me.    

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L'Angolo dell'Autrice:

Ci siamo riusciti! Ed eccovi qui il capitolo 70. Spero di aggiornare presto, mi sento il cervello fuori fase e fuso dal caldo, diciamo che ragionare sembra impossibile farlo con queste temperature.

Comunque lettori miei, vi auguro buona lettura.

A presto!

-Clelia.

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