Capitolo 35

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«Chad sbrighiamoci a finire

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«Chad sbrighiamoci a finire. Dobbiamo andare via di qui!»
Sbuffò mia madre in affanno, col pancione che la pressava internamente. La vedevo terribilmente agitata con tutto quel frusciare continuo di abiti che venivano gettati prepotentemente sul letto e messi alla rinfusa dentro quella valigia che conteneva il nostro piccolo mondo. Corse a perdifiato nella mia cameretta ed io l'aiutai a prendere la mia roba, per poi bloccarmi all'improvviso. «Mamma, dove andremo?»


Lei si sedette sul letto e si asciugò le lacrime che in quel momento si animarono sul suo volto. «Da Lenè, caro. Il tempo di riprenderci e poi, potremmo fare tutto ciò che vogliamo.» Le sue mani non smettono di tremarle, nemmeno per un secondo, dalla forte ansia che la opprimeva.
«Solo noi tre?» Mi guardò a lungo e stese in un sorriso quelle labbra che per troppo tempo avevano temuto lui. Le sue reazioni sono state tenute sottochiave. Terrorizzata e sottomessa al silenzio anche solo per ostentare le sue emozioni, persino l'accenno di un piccolo sorriso era sintomo di distruzione in questa casa. 


«Vieni qui!» Mi avvicinai a lei e dopo avermi preso tra le braccia mi baciò sul capo.
«Noi tre contro il mondo.» Tirò su col naso stropicciandosi l'espressione afflitta che aveva, sostituendola con una migliore o, perlomeno fece del suo meglio per assumerla. «Su, adesso andiamo a prepararci.» Portammo via il necessario e aspettammo che arrivasse il taxi.
Stavamo stretti sugli scalini della soglia quando poi, le luci abbaglianti e quel clacson strombazzante ci redarguì e lo vedemmo entrambi.
«Salite. Non ho tutto il giorno!» Esclamò quell'uomo burbero.

Mia madre si fece leva sulle sue gambe instabili, mi prese la mano e ci avviammo alla portiera. Mi accomodai sul sedile posteriore e la vidi contemplare la nostra vecchia casa spettatrice di dolori e sofferenze. Io ero distratto nell'osservarla. Era la prima volta che faceva qualcosa per se stessa. Stava sfidando quell'uomo che l'ha resa ciò che è oggi. Dopo un po' si rianimò dai ricordi, si accomodò per quanto poteva sul viscido sedile vicino a me, e andammo via da quel posto che mi aveva visto incassare i colpi anno dopo anno, fino alla fine.
Mi misi a guardare la città scorrere via dal finestrino e pensavo a come sarebbero state le nostre vite d'ora in avanti. Il taxista fece un lungo e tortuoso tragitto, fino ad arrivare a destinazione. Le ruote sferrarono una brusca frenata.
«Siamo arrivati.» Sbottò il vecchio uomo al volante.
Mia madre prese le banconote e le diede al conducente ringraziandolo.
«È ora di andare.» sussurrò poi, risvegliandomi dai miei pensieri di bambino cresciuto troppo in fretta.
Aprii la portiera e scesi dal veicolo. Osservai a lungo la strada, constatando che era poco illuminata e avvolta da un pesante silenzio che ti lasciava inquieto. Sentii indistintamente il rumore di passi appesantiti dalla gravidanza di mia madre, che di buon impegno tirò fuori i nostri bagagli. Non appena mi riscossi, andai ad aiutarla, e, non appena finimmo di prendere tutto, rimasi impalato a fissare la nuova casa che ci avrebbe ospitati. 

Lena è un'amica di mia madre, forse è l'unica che abbia mai avuto in tutta la sua vita; ed io non l'ho mai conosciuta. Mio padre non ammetteva estranei di alcun tipo, non voleva che si prendessero certe libertà in casa sua. Quindi, ci era proibito portare amici sempre se ne avessimo avuto qualcuno. Marlenè detta Lenè, abita in una piccola palazzina, e possiede persino un piccolo giardino ristretto dalla forma rettangolare.

La porta d'ingresso si aprì e prese a sbatacchiare, quell'improvvisa irruzione ci ridestò dai pensieri, cogliendoci di sorpresa.
«Siete qui, finalmente!» Una piccola donnina dai capelli scuri fece capolino dalla soglia, inserendosi nel nostro campo visivo. Teneva un canovaccio tra le mani e senza rendersene conto, si fece avanti verso noi.
Con impeto raggiunse mia madre e l'abbracciò stretta, almeno per quanto poteva col pancione che creava una certa distanza.
«Accidenti, questo bambino scalcia tantissimo!» Disse emozionata, toccandole la pancia prorompente.


«Eh già, questo piccoletto si fa sentire spesso. Mi sa che vuole uscire per incontrare il suo fratellino.» Rispose mia madre, sfiorandosi l'addome. Quando distolse l'attenzione su di lei mi notò per la prima volta. «Ehi, ciao piccoletto!» Disse lei, scompigliandomi i capelli, mentre io restio mi allontanai dalle sue carezze, nascondendomi dietro la figura di mia madre.

Di certo, non lo faccio perché ho paura di lei. Il motivo principale del mio comportamento è che non so proprio se fidarmi di Lenè o meno, difatti, non faccio altro che soppesarla con sguardo ostile stringendo il vestito di mia madre per difenderla se necessario, anche se so bene che è una donna, e già, soltanto per questo, non le potrei mai fare del male, però, se dovesse picchiare mia madre le prenderò io piuttosto che lasciarle prendere a lei e al mio fratellino. Non sono disposto a rischiare e mentre vaglio ogni evenienza possibile, Lenè prende improvvisamente parola. «Oh dai non essere timido, vieni un po' qui e fatti vedere carinõ. Siamo amici e gli amici si aiutano.» Esclamò strizzandomi l'occhio. «Stavo preparando la tortillas spagnola, vorresti aiutarmi? Un paio di mani in più mi farebbero comodo.» E così con delle energiche pacche sulla schiena e le valigie che avevamo tirato fuori dal cofano dell'auto, ci dirigemmo dentro.


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L'Angolo dell'Autrice:

Ed eccovi un'altro pezzo d'infanzia di Chad. Se notate errori coi tempi dei verbi ditemelo pure. Ho corretto di fretta e non ci ho fatto molto caso... è un po' complicato giostrarsi tra passato e presente... Comunque, spero di scrivere ancora altro... qui, c'è una bella matassa da sbrogliare che nemmeno vi sto a dire. ":D

E con questo concludo augurandovi come sempre una Buona Lettura! ;)

A presto.

- Clelia.

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