Capitolo 12 - Tempesta meteorica

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"Fammi ricordare perchè sono venuta qui stasera."

La mia frase voleva essere un messaggio di sfida, ne esce più come un invito vero e proprio. 

Dondolo leggermente i piedi sospesi, con Charles che mi osserva per lunghissimi istanti. Si dà un'ultima passata ai capelli con l'asciugamano, che poi getta verso una porta oltre la quale suppongo ci sia un bagno. Si sistema tra le mie ginocchia, e io smetto di dondolare i piedi, preferendo sporgere leggermente il bacino verso di lui. 

Sento i suoi palmi sul fondoschiena, mi pizzica leggermente la parte alta dei glutei prima di afferrarmi e tirarmi vicino a sé. Inizia a far scorrere la punta del naso lungo il mio collo, lasciando una scia di baci umidi su ogni centimetro che poco a poco libera dalla parte superiore del mio vestito. Non porto il reggiseno questa sera. 

Chiudo gli occhi e inarco la schiena, perdendomi dietro ad un intenso brivido. Non so se per colpa del movimento del mio bacino o delle sue mani, ma la mia gonna poco a poco ha raggiunto l'altezza dei fianchi. Dovrei essere infastidita dal contatto con il piano di marmo, ma in questo momento sono troppo accaldata per accorgermene. 

Il bacio famelico di Charles mi coglie di sorpresa, mi spinge ad accomodarmi sulla pietra e mi fissa per un secondo con un sorriso furbo, prima di spostare il suo volto ben più sotto della mia bocca. Mi solletica con il naso sopra il tessuto delle mutandine, per poi sfilarle rapidamente. 

La lingua che fino a poco prima mi aveva accarezzato, ora solletica altre labbra, altri luoghi nascosti. La testa di Charles tra le mie gambe lascia una leggera ombra umida per colpa dei capelli, che sento subito evaporare. Quando accenna a rallentare molto egoisticamente lascio che una mia mano vaghi tra le sue ciocche, mentre con l'altra mi stringo il seno sinistro. Imparo che parlare non è l'unica cosa che sa fare bene con la bocca. 

Ha uno sguardo compiaciuto mentre il primo orgasmo mi travolge. Resto distesa ansimante, in attesa che il mio ritmo cardiaco si normalizzi e le gambe non sembrino più fatte di gelatina. 

Lo sento mormorare "Questo mi sembra un buon promemoria." 

Non ho idea se in questo momento voglia più ringraziarlo o schiaffeggiarlo. 

Appena le gambe me lo concedono, rimetto i piedi per terra (anche perchè passata la distrazione della passione la mia schiena stava iniziando a essere indolenzita). Lascio che il mio vestito cada a terra, e vederlo lì appallottolato mi dà l'idea di ricambiare il favore di poco prima a Charles. 

Dopo avergli permesso di farmi impazzire... non nego che averlo finalmente in mio controllo sia estremamente eccitante. 

-

Il nostro incontro quella sera del gran premio di Monaco è stato il primo di molti. Le mura dell'appartamento di Charles erano state testimoni di più momenti di passione di quanti possa effettivamente contare. 

Passava lui a prendermi a Nizza, oppure usavo un taxi. Mi ero finalmente decisa a comprare una sim per il cellulare che mi aveva regalato Susanne, così era più semplice tenerci in contatto. 

Già, Susanne. Non aveva preso bene la mia decisione. Non era arrabbiata, ma solamente delusa, e questo mi aveva ferita. 

"Lo sai che non giudico le persone, non l'ho mai fatto e di certo non inizierò adesso. Soprattutto non con te. Sono solo preoccupata per te, tesoro. Non finirà bene. E tu lo sai." 

Certo che lo sapevo, non ero un'ingenua. Sarebbero potute andare male così tante cose che quando avevo provato a fare un elenco mi ero messa a ridere. D'altronde anche pensare l'opposto, e cioè che fosse (miracolosamente) finita bene, cosa sarebbe dovuto succedere? Che lui si innamorasse di me? O io di lui? Non riuscivo a decidere. 

Sapevo solo che quando lui chiamava io c'ero. Non molto tempo fa questo mio comportamento mi avrebbe fatta vergognare, ma adesso a mente fredda capivo che al momento avevo solo bisogno di questo. Non l'amore ragionato, logico. Ma la passione fisica travolgente, quella che mentre sei in fila al supermercato ti fa arrossire al solo pensiero di ciò che è successo il giorno prima. Quella che ti scalda alla sola vista della chiamata in entrata sul cellulare. 

In certi giorni non sapevo se era più lui ad usare me, o io ad usare lui. Ma mi stava bene così. 

Ogni volta che mi lasciava sola nell'appartamento ad aspettare un taxi, o quando dopo un incontro chiudevo la porta di casa dietro di me, provavo a convincermi che questa sarebbe stata l'ultima volta. Che adesso potevo essere soddisfatta e avrei detto basta. Ma la mia risoluzione durava ben poco. 

Ogni volta che mi arrendevo sapevo di farmi del bene e del male allo stesso tempo. E sapevo anche che la mia moralità non mi avrebbe mai portato a nulla. 

L'unica cosa che mi avrebbe convinta a dire basta, era che succedesse l'irreparabile. Avrei dovuto farmi male.

Come una cometa // Charles LeclercDove le storie prendono vita. Scoprilo ora