Capitolo 19 - Apocalisse

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Al nostro ritorno nel Principato, Charles mi aveva fatto giurare di non indagare su di noi su riviste di gossip o sul web. A differenza di quello che era successo con la mia promessa non mantenuta con Susanne, questa volta non avevo curiosato sul serio. 

Anche perchè con l'ufficializzazione della relazione con Charles, il tempo a mia disposizione stava inesorabilmente raggiungendo un termine: avrei dovuto raccontargli chi ero e da dove venivo. 

Per fare questo avevo scelto strategicamente una sera in cui avremmo cenato insieme a casa. Non potendo contare sulle mie doti culinarie (tuttora inesistenti), avevo prenotato una gran varietà di sushi nel ristorante preferito di Charles. Ero uscita con un uber mentre lui era fuori per la sua corsa serale, e avevo pianificato tutto per rientrare appena prima di lui. 

Ma davanti a casa di Charles, quando scendo dalla vettura dopo aver pagato il conducente, trovo una faccia nota ad attendermi. "Albèrt." 

E' seduto sugli scalini che portano all'entrata del palazzo, e appena mi vede sul marciapiede si alza, lisciandosi i pantaloni. "Camille." 

L'auto se ne va, lasciandoci completamente soli nella via. 

"Come hai fatto a trovarmi?"

"Ti sei nascosta bene, non c'è che dire. Se non fosse stato per i pettegolezzi non ti avrei mai trovato..."

Lo osservo mettersi le mani in tasca. Mi sembra leggermente invecchiato dal nostro ultimo incontro, ma temo sia solo una mia impressione dettata dai ricordi falsati. 

"Non credi di dovermi almeno una spiegazione?" Sbotta Albèrt. 

"Io non sapevo come... avrei voluto tante volte..." Non riesco a mettere ordine tra le mie idee, mi rendo conto da sola che sto farneticando frasi senza senso.

"Tu non hai idea dell'umiliazione che hai riversato sulla tua famiglia, e sulla mia!" Non potendomi giustificare, Albèrt inizia a sfogare la sua rabbia "Un ricevimento con quasi seicento invitati, la cattedrale piena, mi hai seppellito di vergogna! Ho dovuto rivolgermi ad uno specialista, perchè per giorni non ho osato neanche uscire di casa! E tuo padre... a tuo padre è quasi preso un infarto, l'avresti avuto sulla coscienza!"

"Mi dispiace." E' una risposta patetica, ma non so cos'altro dire. 

"E' una bugia! Se ti dispiacesse davvero avresti lasciato una cazzo di spiegazione, invece mi hai rovinato la vita. E basta."

"Io mi sentivo in trappola!" Finalmente le parole trovano la loro strada. "Non ho mai scelto niente in vita mia, mai! Prima i miei genitori, poi tu... ero in una gabbia, e non sapevo come uscirne."

"Cazzate, tutte cazzate. Siamo stati insieme 6 anni, una cazzo di volta avresti potuto dire qualcosa." Sto per ribattere che lui in realtà non me ne ha mai dato la possibilità, ma non me lo concede. "Tu adesso molli quello che stai facendo e torni con me a Parigi. Devi parlare con i tuoi genitori, devi..."

"Non ti senti? Molli, torni, devi... ecco la gabbia di cui ti parlavo. Io qui sono felice, io..."

"Tu sei scappata solo per scopare con il belloccio di turno, muoviti!" 

Mentre pronuncia l'ultima frase furiosa si avvicina, mi stringe un braccio e cerca di trascinarmi verso un'auto parcheggiata sull'altro lato della strada, strattonandomi. Io oppongo resistenza con tutte le mie forze, punto i piedi, faccio veramente di tutto. Ma mi sento ormai perduta. 

"Lasciala andare, stronzo!" 

Sto cercando di fare così tanto contrappeso per sfuggire ad Albèrt, che quando Charles interviene per dividerci cado a terra. O almeno realizzo che è lui solo dopo che sono semidistesa sul marciapiede, perchè sul momento è una semplice sagoma sfocata che si butta in mezzo per salvarmi. 

Albèrt è riuscito a rimanere in piedi "Ma come cazzo ti permetti, tu non sai chi..." In un secondo riconosce chi ha di fronte "Ah, sei tu."

"Sì sono io, e tu chi cazzo sei?" Sta per mettergli di nuovo le mani addosso. 

"Io sono il fidanzato di Camille, non ti ha parlato di me?" 

Charles era sul punto di afferrare il colletto della polo di Albèrt, ma le sue mani si bloccano a mezz'aria "C-cosa?"

Il mio ex fidanzato si volta verso di me per sbeffeggiarmi "Ma come tesoro, non gli hai parlato della tua fuga? Di come mi hai piantato in asso all'altare? Male, male..." 

All'improvviso sento montare dentro di me una rabbia incredibile, una furia che si sostituisce a tutta l'impotenza che avevo provato fino a quel momento "Vattene."

"No." Albèrt è perentorio.

"Vattene! Tu dici che ti ho rovinato la vita, ma sei tu ad averla rovinata a me, una volta di troppo. Vattene, e non farti mai più vedere!"

Albèrt fa saettare il suo sguardo da me, rossa di rabbia, a Charles, pallido ed immobile "Va bene, me ne vado. Ma ormai so dove trovarti, e appena tornerò a Parigi andrò a parlarne con tuo padre. Ci rivedremo presto." Sorride perfido ben sapendo il casino che ha appena combinato, prima di salire su una berlina scura e allontanarsi. 

Mestamente raccolgo la borsa di carta che prima conteneva il sushi, ormai un agglomerato informe di riso, pesce e alghe. "Andiamo." 

Apro il portone di vetro e lo tengo spalancato per Charles, che mi segue con lo sguardo basso senza dire una parola. Il viaggio in ascensore sembra durare un secolo, ma mi permette di fare una riflessione.

In uno dei documentari sul cosmo che avevo seguito, avevano spiegato un fatto particolare.

Se il sole si spegnesse, noi non ce ne accorgeremmo per otto minuti: il tempo che impiega la luce ad arrivare fino a noi. Per otto minuti, il mondo sarebbe ancora illuminato e sentiremmo ancora caldo. Per otto minuti la nostra vita scorrerebbe normalmente, indifferente a ciò che si è appena verificato. Per otto minuti la gente avrebbe respirato, parlato, lavorato, litigato, si sarebbe amata ed odiata.

Il tempo intercorso tra la mia fuga da Parigi e il ritorno di Albért erano stati i miei 8 minuti di precaria normalità: avevo trovato l'amicizia, la felicità, la novità, la possibilità di un amore. Semplicemente, avevo trovato la vita. 

Ma adesso Albèrt aveva portato il buio con sè, adesso era tutto finito. 

Adesso era arrivata la mia apocalisse.

Come una cometa // Charles LeclercDove le storie prendono vita. Scoprilo ora