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Mi sveglio nel mio letto, una maglia bianca addosso e un pantaloncino che mi copre giusto l'intimo scuro indossato il giorno prima.
Un velo di lenzuolo tendente al cipria mi copre giusto le gambe per non farle tremare dal freddo, che si stava aprendo alle primissime giornate quasi invernali. Apro gli occhi, occhi macchiati da mascara colato, con qualche certezza in più e qualche velo malinconia in meno. Sorrido lievemente guardando il soffitto, ripensando a come sia riuscita a far tornare in se la mia migliore amica, come sia riuscita a farle tornare la gioia che prima regnava in lei. Sbatto le mani sul mio letto alla cieca stropicciando tutto il lenzuolo nella ricerca del mio telefono, dover capire che ore fossero e che giorno fosse era diventata una missione di vita. Ero sicura però che fosse il fine settimana, o mi sarebbe suonata quella sveglia che tanto odio, questo mostro che vibra e squilla in una maniera orribile che manda via l'unica cosa che mi piace fare della vita: dormire.
Il telefono ovviamente non si trova, come sempre d'altronde, sbuffo e alzo il busto per poter guardare con i miei occhi e confermare che in effetti il telefono, li, non c'era. So di essere sbadata, con la testa tra le nuvole e il cuore perso nella mente di Niccolò, ma non pensavo di riuscire persino a perdere il telefono a casa della mia amica, mamma mia bisogna propio essere esperti in materia.
Mi volto verso il comodino per poter indossare i calzettoni della Nike posti sopra, siccome odio con tutto il cuore quelle maledette ciabatte che mi fanno camminare come una nonna sul parquet. Afferro di corsa i calzini facendo volare via un post-it color giallo che tanto assomigliava a quelli che utilizzavo per studiare e che erano, inspiegabilmente, sopra la mia scrivania. Mi alzo, raccolgo e sorrido.
<se vuoi il tuo telefono, vienitelo a prendere Trilli>.
Sorrido alla sciocchezza di Niccolò, alla sua innocenza e alla sua dolcezza che tanto mi avevano fatto innamorare della sua persona, che tanto mi avevano fatto smarrire il cuore portandolo in un posto migliore, in mano alla persona che se ne potrebbe prendere cura meglio di quanto possa farlo io stessa.
Io so, lo so di non essere stata fortunata, di non aver avuto l'infanzia che mi sarebbe dovuta spettare, di non avere la famiglia del Mulino Bianco, di essere stata fragile, e di essere caduta tante volte. Molto spesso quando si parla di ciò, in questo modo, la mente tende a portare le persone con famiglie contente e felici a quelle separazioni di genitori che si vedono nei film. I due genitori che litigano come dei bambini capricciosi e i figli belli spensierati, loro che non si accorgono della gravità della situazione, che forse vorrebbero non accorgersene.
La madre parla con la figlia, poi con il figlio e tutto ciò viene ripetuto successivamente dal padre, io invece non parlo con i miei da settimane, ci saremmo rivolti solo un paio di volte un <ciao> freddo e insignificante.
Poi le persone ti vengono a dire che allora sarai una ragazza forte, non fragile come le altre, ma non è vero che le cadute ti rendono meno fragile. Le cadute ti fanno scoprire quella forza che hai in te, non alzandola di un minimo gradino, forza che se non tutti hanno, forza che non penso di avere. Adesso però avevo trovato la mia cura, ma avevo pur perso il mio telefono, quindi mi feci forza e mi alzai dal letto.

Uscii da camera mia, attraversai il corridoio della zona notte soffermandomi d'avanti alla porta socchiusa e spenta di mio fratello. Stranamente mancava quel forte odore di bambino, borotalco e salviettine che mi nauseavano in una maniera assurda, continuando a farmi odiare la sua cattiva e scocciante presenza in casa. Mi sobbalzò il cuore, quell'odore che tanto odiavo e che ora finalmente mancava mi stava facendo tristezza? Mi stava portando malinconia?
Non capivo quali fossero davvero le mie preoccupazioni, ma passando da quella camera venni travolta da una sensazione che mi appesantì, come se qualcosa di strano ed indefinito mi avesse attraversato, come il sesto senso che cercava di parlarmi, e che provavo ad ascoltare ma senza capire cosa volesse dirmi. Mi avvicinai alla porta, avevo tanta voglia di entrare, di capirci qualcosa, ma dopo qualche secondo la chiusi di forza sbattendola, loro dovevano rimanere fuori dalla mia vita. Raccolsi una tazza, latte caldo senza caffè, mi fa veramente schifo il caffè. Lo beveva e lo beve ancora sempre quello stronzo di mio padre, da piccola pensavo che fosse stato l'eccesso di quella sostanza che l'avesse reso l'uomo freddo e assente che prima non era, l'uomo che non amava più la sua bambina come prima. Perciò, ogni volta che ne udivo l'odore o che provavo a berlo, la mia mente si riempiva di odio e cattiverie, riportandomi a quella vita che tanto avrei voluto dimenticare.
Bevvi tutto di corsa, cercando di far scendere giù nel mio stomaco anche quei brutti ricordi, rifermando nuovamente il mio obbiettivo della mia giornata, sperando di non perderlo più di vista.
Infilai la tazza nel lavandino e corsi in bagno. Chiusi la porta, mi appoggiai con le mani sul lavandino, alzai lo sguardo stanco difronte allo specchio e sobbalzai lievemente, poi mi toccai il labbro spaventata. Uno spacco mi attraversava il labbro inferiore dividendolo in due perfette metà, lasciandolo livido e leggermente sanguinante, cosa avevo combinato?
Cercai di massaggiarlo, ma appena lo sfiorai sobbalzai nuovamente per il dolore che mi provocava, ma cosa era successo? Boh
Tolsi i vestiti, l'intimo, nuda entrai in doccia lasciando tutto ciò che mi copriva per terra in un modo disordinato ma che in qualche modo mi serviva per riordinare la mente, far riaffiorare i ricordi che dopo qualche minuto sotto l'acqua calda tornarono come un tornado nel mio cervello. L'acqua bollente che mi sfiorava, il sapone che mi rendeva la pelle lucida e che odorava di vaniglia mi fece tornare in mente tutto, l'ascensore ed io che mi fingevo coraggiosa d'avanti ai suoi occhi, che pensavo di poter vincere contro il suo sguardo assurdo, le sue labbra piene di fame e le sue mani che mi toccavano in una maniera così illecita che mi creava sbalzi termici allevianti in maniera assurda.
Scoppiai in una risata immensa, il mio fare da ragazzina era uscito nel momento giusto ma nel posto sbagliato, poi con Niccolò, ragazzo di cui non si sa mai cosa ci si può aspettare. Manneggia.
Risi, cantai felicissima sotto la doccia, ballai mentre l'acqua mi lavava, mentre mi rendeva libera come una libellula che stanca si posa sulle gocce di rugiada che rimangono sulle foglie delle piante quasi autunnali. Ridevo, ero felice che Niccolò mi avesse toccato, che fossi stata sua per la prima volta, che fosse successo..OH CAZZO.
Mi immobilizzai improvvisamente, io ieri non ero mica vestita così, quindi lui, c'è noi, io, nel letto. DAJE CHE CAZZO AVEVO FATTO?
Rimasi a guardare il vuoto immenso per qualche secondo mentre l'acqua calda ormai quasi finita mi rigava le guance in una maniera continua, poi sussultai e corsi fuori la doccia in preda al panico. Raccolsi di corsa un asciugamano e mi poggiai nuovamente al lavandino, dovevo mantenere la calma, in effetti non sapevo cosa fosse successo la sera prima, non sapevo se avessimo usato beh..come.. le precauzioni. CHE IMBARAZZO.
Sfilai immediatamente il phon dal cassetto e nel modo più disordinato possibile mi asciugai i capelli, raccogliendoli successivamente ancora leggermente bagnati in uno chignon disordinato, un po' come quelli che faccio a danza, solo fatto con la fretta che mi bloccava il respiro.
Corsi in camera, mi asciugai ed infilai la prima felpa e il primo leggings che trovai nell'armadio, mi bastava che tutto fosse nero, mi andava bene. Presi il fogliettino, che mi dava una giusta prova, le chiavi, infilai le scarpe e con i capelli ancora leggermente bagnati uscii di casa. Corsi come se stessi facendo una delle gare più importanti, prendevo fiato solo a volte, mi catapultai verso casa di Niccolò che per fortuna distava solo una decina di minuti da casa mia. Avevo il cuore in gola, dovevo avere risposte il prima possibile o non mi sarei data pace. Entrai nel portone, non usai l'ascensore, era meglio evitare per qualche volta visto ieri.
Salii ben sei piani di scale in due secondi, poi suonai istintemente, insistenza che frenai quando mi resi conto che c'era una probabilità che Anna fosse in casa, che figuraccia... ma per fortuna non fu lei ad aprirmi, e nemmeno Niccolò.

Il moro dell'elementariDove le storie prendono vita. Scoprilo ora