50.

302 16 1
                                    

Continuai a ticchettare le dita sulla scrivania di colui che doveva ricoprire esclusivamente il ruolo di preside, nulla di più e nulla di meno, andando a ritmo, cercando di farmi trasportare dalle note immaginarie che mi gironzolavano per la testa. Ormai il mio pensiero era irremovibile, come era sempre stato in realtà. La fissavo nella mente, occhioni scuri e vita complicata, una fotografia stampata, incredibilmente bella e buona, come quelle caramelle che ti mangi da bambino non pensando alle conseguenze, guardandoti il momento, un po' come il cioccolatino che ci univa, e che ci aveva riuniti, tutto fatto da un dolcetto, e certo che la vita è strana! Speravo che il tempo volasse, sognavo di prenderla per mano e di portarla da tutte le parti che avrebbe voluto, in tutti i mondi privi di dolore, anche nei luoghi più deserti mi sarebbe bastato averla al mio fianco per sentire la folla intorno, vedere il suo sorriso e le sue lacrime sincere che non più tentava di nascondere. Lei usciva allo scoperto, lei si mostrava per ciò che era senza filtri, con tutti quelli che lei dichiarava difetti e che per me erano solo bellissime doti. Lei era bella come il mondo, non smettevo mai di ripetermelo, e ciò mi provocava ancora più suspense, come se noi due fossimo i protagonisti di un thriller che vorrei durasse per sempre, per centinaia di anni, fino a quando saremmo resistiti.
"Niccolò" bisbigliò quell'uomo posto difronte a me, parole indesiderate e che mi mandarono in escandescenza. Cosa voleva ancora? Lui era irremovibile, desiderva un rapporto civile con me dopo aver fatto scivolare giù in un burrone tutto quello che i miei avevano costruito desiderando una donna già sposata. Non riuscivo ad incolpare mia madre, lei era la donna della mia vita e non sarei mai riuscito a contrastarla, mi facevo del male vedendola star male con mio padre. Mi ero ripromesso di non contrastare il loro coso che chiamano amore, mi ero ripromesso di riuscire a vedere felice mia madre con un altro uomo ma non mi costringevo a volergli bene, anzi, lo detestavo più di chiunque.
"Cosa non ti è chiaro? Io sono Moriconi." Sbattetti i pugni sul tavolo ponendomi in piedi dinanzi a lui e lo guardai senza anima e senza rigore, non lo avrei risparmiato, avrei potuto disintegrarlo da un momento all'altro. L'unico scudo che mi separava da lui era mia madre, che ci teneva maledettamente, più di qualsiasi altra cosa, cazzo se mi sarei odiato se le avessi fatto del male, ma la tentazione rimaneva tanta. Avrei voluto ricostruire il passato, rifotografare l'albero di Natale con Valerio in mutande e mio padre che infilava la stella. Mia madre nervosa per i macelli, mio padre rideva perché li combinava con noi, poi tutto è andato a puttane, conseguenza che ha trasportato via la mia vita con se.

"Tra quanto me ne posso andare da qui? il tuo respiro mi soffoca" mi alzai e ricominciai a gironzolare per la stanza toccando i mille libri fingendo mi interessasse qualcosa, facendo finta di essere veramente attratto da ciò che stavo facendo, quando, in realtà, era l'unico modo di rimanere calmo senza spaccargli la faccia.
Lui invece abbassò rassegnato la testa e si alzò la manica della camicia che ricopriva il suo orologio da personaggio importante che era, cosa che mi faceva alterare ancor di più. Noi eravamo una famiglia umile come le altre, felice come molte, poi è arrivato lui che ha buttato via la felicità facendoci una pallina di carta.
"Tra .. un minut-" non riuscì a terminare la frase poiché fu fermato dall'effettivo suono della campanella, suono che mi salvò anche da quella gabbia porgendomi facilmente la chiave. Alzai il mio zaino e me ne andai senza degnarli neanche uno sguardo, non mi sarei voltato verso quello che era il mio peggior nemico, ne oggi e neppure domani.
Uscii da quell'inferno che possedeva i banchi in cambio di fuoco e fiamme. L'aria che si respirava però era la stessa, la tensione e la paura di sbagliare o, peggio, di aver sbagliato. Quel luogo dove sei diverso da tutti senza essere nessuno, dove non sei neanche una persona, dove il sudore non è ripagato, dove o sei uguale agli altri, oppure sei uno strano, io ero il tizio strano che canta.
Mi spostai dall'ingresso e mi poggiai sul muretto che si trovava difronte all'uscita principale, aspettando impazientemente di vedere la mia stellina uscire, per portarla in salvo dove meritava.
"eccolo" mi voltai e ritrovai a pochi centimetri di distanza Adriano, incazzato manco fosse mia madre con me "MA TU COSA C'HAI NEL CERVELLO, LE BANANE?!" mi urlò contro, era visibilmente incazzato e sarebbe stato difficile calmarlo. Ma lui era così, si occupava di me come se fosse un fratello, sapevo che qualsiasi cosa sarebbe successa non mi avrebbe abbandonato come avevano fatto tutti, sapevo che lui sarebbe rimasto.
"Ao calmate" gli risposi consapevole che questa parole sarebbero state non solo tanto inutili, ma che lo avrebbero fatto innervosire ancora di più. La situazione mi faceva ridere, vedere lui così tanto preoccupato per me mi faceva sentire per le poche volte una persona importante davvero per qualcuno.
"NICCOLÒ SEI UN COGLIONE" mi rispose alzando il tono della voce, affermando una cosa effettivamente vera, ero un coglione. " E TOGLITI QUESTO SORRISINO DAL VOLTO."
"Ma si tranquillo che non è successo niente"
"HAI DATO DELLA PUTTANA ALLA PROFESSORESSA DAVANTI A TUTTA LA CLASSE"
"Però hai visto che bravo che so stato?! manco n'attore è così bravo co le parole" risposi con l'intenzione di farlo incazzare ancor di più. Ero un fottuto masochista, mi colmavo delle preoccupazioni degli altri saziandomi e facendoli divenire punti di forza.
"NO FRATE TUSEI TUTTO SCEMO! MI CHIEDO ANCORA COME TU FACCIA A STARE QUI"
Rimasi a quella affermazione, effettivamente nessuno lo sapeva, tantomeno i miei amici de na vita, ma era ciò che reputavo giusto, non avevo mai avuto veri e propri obbiettivi nella vita, ma volevo tenere fuori e ben distanti le persone dai miei casini, non volevo fargli del male, volevo solo eliminare il loro male colmando il mio.
"Ao, statte calmo a me da qua nun me cacciano manco se me meno con er preside, statte tranquillo" gli misi la mano sulla spalla cercando di rassicurarlo, poi gli strinsi la mano come da sempre facevamo, come ci eravamo legati. Lo vidi finalmente tranquillizzarsi, respirare normalmente e ritornare su di lui una colorazione del viso normale e non tendente al rosso.

Il moro dell'elementariDove le storie prendono vita. Scoprilo ora