Prologo

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A hundred days have made me older

since the last time that I saw your pretty face

a thousand lies have made me colder

and I don't think I can look at this the same

and all the miles that separate

they disappear now when I'm dreaming of your face

Here without you, 3 Doors Down

Ero sempre stata del parere che lavorare in un negozio di dischi fosse una gran figata. Essere circondata da buona musica e gente che se ne intende mi era sempre sembrato l'abc per un vero Paradiso terrestre. Quanto mi sbagliavo!

La maggior parte della clientela non conosceva nemmeno una canzone dei Queen o dei Led Zeppelin ed entrava in negozio solo per due motivi: il primo, il più gettonato, era farsi una foto con un disco in mano e pubblicarla su Instagram; il secondo, invece, era fare un regalo ad un amico. Posso anche chiudere un occhio davanti alla loro ignoranza in campo musicale per la seconda ragione, ma non per la prima. Era un vero insulto ai colossi della storia della musica e non lo potevo accettare.

Non era una novità, quindi, che quel giorno fossero entrati in negozio solo dieci persone, otto delle quali per scattare delle foto ed andarsene senza aver ampliato la loro conoscenza - già scarsa - dei Guns N' Rose. Come ho detto, un vero insulto.

Dopo aver osservato un gruppo di galline fotografarsi a vicenda e taggarsi sulle storie di Instagram, decisi che sarei andata in pausa mezz'ora prima e uscii sul retro appena Luca mi diede il cambio. Il mio capo Gigi, assente quel giorno, era molto flessibile con gli orari e non mi avrebbe rimproverato per la mia scelta, anzi, forse mi avrebbe incoraggiato a lasciare quella stanza e allontanarmi da quelle idiote che avrebbero confuso gli AC/DC con Beethoven anche se il disco portava scritto il loro nome.

All'imbocco del vicolo, mi fermai e estrassi una sigaretta dal pacchetto. La accesi con l'accendino e la portai alle labbra. Appena aspirai, il mio corpo si rilassò. Proprio quello che ci voleva per buttare nel cestino ogni grido stridulo emesso dalle ragazze-galline.

Non mi accorsi subito di lui. La mia concentrazione era completamente puntata sulla mia sigaretta, e non sui passanti. Lo vidi solamente quando del vento gelido mi scompigliò i capelli, sollecitandomi ad osservare la realtà circostante per capire da dove mai potesse essere venuto, visto che fino a poco fa non si muoveva una foglia.

Lui era lì. Appena fuori dal negozio di dischi.

Aveva i capelli arruffati e le labbra arricciate in un sorriso per qualcosa che aveva visto sul cellulare. Si era fatto crescere la barba - a proposito, gli donava davvero molto - e, se non fosse stato per i dischi di Mozart che teneva tra le mani da pianista e il modo in cui era vestito, non l'avrei mai riconosciuto. D'altronde, indossava dei jeans chiari senza un solo strappo e un maglione verde pistacchio che si intonava perfettamente al colore dei suoi occhi. Il suo outfit per eccellenza, in pratica. Al liceo non l'avevo mai visto vestire qualcosa che fosse anche lontanamente audace. Ma forse dovrebbe essere definito audace solo per il fatto di aver avuto il coraggio di indossarlo alle superiori. In fondo, però, lui poteva permetterselo. Nessuno lo avrebbe mai preso in giro per quello o per qualunque altra cosa. Tutti volevano tenerselo stretto perché era ricco da far schifo.

Come avessi fatto ad innamorarmi di lui era ancora un mistero. Ormai ero convinta che la colpa fosse degli ormoni adolescenziali che erano impazziti di fronte al suo fascino incantatore.

Quando lo vidi fare un passo nella mia direzione, abbassai il berretto sulla fronte e puntai gli occhi sulla mia sigaretta.

C'erano poche possibilità che mi riconoscesse, visto quanto ero cambiata, ma non volevo rischiare.

Gettai il mozzicone a terra e lo schiacciai con la punta dell'anfibio.

La mia intenzione era quella di voltarmi ed entrare di soppiatto nel negozio dalla porta sul retro.

Mi girai, ma proprio quando pensavo di essere riuscita a defilarmi senza che se ne accorgesse, sentii la sua voce, roca e perfettamente profonda, chiamarmi.

«Miki?»

Il mio cuore saltò un battito, cercando di riprendere quel ritmo che aveva perso da molto tempo.

Lo guardai da sopra la spalla e, mentre aprii la porta, dissi: «Ciao, Montecchi».

E con un cenno del capo, me ne andai.

How to charm Micol Esposito [Trilogia How To #1]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora