BLAKE
Il fine settimana era stato impegnativo. Sabato mattina io, Kyle e Peter avevamo pulito l'intera confraternita e nel pomeriggio mi ero allenato così tanto da portare il mio corpo allo stremo. Speravo che la stanchezza fisica riuscisse a mettere a tacere il casino che mi frullava in testa. Ma non funzionò.
Non funzionava mai.
Non riuscivo a togliermi dalla testa Cassandra. Era sempre stata il mio rifugio dai pensieri che mi contaminavano dall'interno, come un faro che illuminava la mia oscurità interiore. Con lei tutto sembrava più semplice, più leggero, ma in quei quattro anni avevo imparato ad affogare senza aggrapparmi a niente e nessuno, obbligandomi a risalire da solo.
Ora, la consapevolezza di riaverla in qualche modo vicina mi spaccava in due: una parte di me voleva avvicinarsi, mentre l'altra sapeva che avrei rischiato di perdere tutto ciò che avevo costruito per sopravvivere.
E se mi riavvicinassi?
L'idea mi attraversò la mente per un solo secondo prima che la seppellissi con tutta la forza che avevo. Perché sapevo come sarebbe finita. Lo sapevo dal primo momento in cui avevo incrociato il suo sguardo.
Lei meritava qualcosa di meglio. Qualcosa che io non potevo darle.
Il lunedì mattina la sveglia mi sembrò più fastidiosa del solito, un suono stridulo che sembrava perforarmi la testa. Mi stiracchiai e rimasi qualche secondo a fissare il soffitto, con gli occhi ancora pesanti e il corpo rigido come se avessi dormito su una pietra. Avevo bisogno di raccogliere i pensieri e scuotermi dal torpore per affrontare la giornata.
Mi preparai in quindici minuti e, una volta pronto, scesi in cucina. Peter doveva essere già uscito, perché trovai solo Kyle, mezzo addormentato, mentre sorseggiava il caffè.
"Buongiorno, raggio di sole."
"Perché parli così forte la mattina, Blake?"
Risi e mi versai una tazza di caffè. Una volta finito, misi la tazza nel lavandino ed uscii a fumare la prima sigaretta della giornata. Mi appoggiai alla macchina aspettando Kyle, giocherellando con gli anelli che portavo alle dita. Era un vecchio vizio, qualcosa che facevo ogni volta che cercavo di controllare un pensiero scomodo.
Il mio amico mi raggiunse dopo cinque minuti, salì al posto del guidatore e io mi infilai in macchina accanto a lui. Dopo aver messo la cintura, mise in moto.
"Il coach ha posticipato l'allenamento di mezz'ora."
Sbuffai in risposta. Mi piaceva giocare a basket, non lo vedevo come il mio futuro, ma mi piaceva. Essere il capitano della squadra, però, comportava dover essere sempre preciso e puntuale. E con un coach che non brillava per coerenza, diventava tutto più complicato.
Durante il tragitto, Kyle accese la radio e lasciò che una canzone rock anni '90 riempisse l'abitacolo. Nessuno di noi parlò molto, entrambi ancora mezzi addormentati e immersi nei nostri pensieri.
Peter era già fuori dal Ginky's quando arrivammo. Era appoggiato al muro, una sigaretta tra le dita mentre fissava il vuoto, il fumo che si disperdeva nell'aria fredda del mattino. Kyle ed io ci avvicinammo e lui sollevò appena lo sguardo.
"Ci avete messo una vita," disse, buttando via il mozzicone con un gesto distratto.
"Non tutti ci svegliamo con l'entusiasmo di un bambino il giorno di Natale," sbuffò Kyle, incrociando le braccia.
Peter ridacchiò, poi si voltò verso di me con quello sguardo sornione che conoscevo troppo bene. "Scommetto che la tua giornata è appena peggiorata."
Fruncii le sopracciglia. "Di che parli?"
Non rispose subito. Fece solo un cenno con il mento verso l'interno del locale. Mi voltai d'istinto e la vidi.
Bella come una dea del mio inferno personale.
Cassandra era seduta al bancone, il profilo illuminato dalla luce calda del locale. Stava ridendo con Meredith, la cameriera, i suoi capelli rossi raccolti in una coda alta. La schiena dritta, le mani che avvolgevano la tazza di caffè. Sembrava a suo agio, come se niente la toccasse, come se il mio ritorno nella sua vita fosse irrilevante.
Mi guardò.
Il sorriso svanì in un attimo, sostituito da un'espressione fredda, carica di disprezzo. Mi lanciò quello sguardo per una frazione di secondo, poi si voltò dall'altra parte, come se non esistessi.
Un pugno nello stomaco.
Peter mi diede una pacca sulla spalla. "Se vuoi tornare indietro, io capisco."
Lo fulminai con lo sguardo e aprii la porta del locale.
Cassandra mi guardava, comunicandomi tutto il suo odio. Io, però, non feci una piega e mi sedetti al tavolo con i miei amici.
Ero teso come una corda di violino, con le mani che si stringevano nervosamente attorno agli anelli e il cuore che sembrava voler uscire dal petto. Ogni fibra del mio essere gridava per una reazione, per un gesto, ma decisi di reprimere tutto. Ignorarla era l'unica scelta logica, anche se ogni secondo che passavo accanto a lei sembrava allungarsi in un'eternità insopportabile.
E ci sarei riuscito, davvero, se Peter – quel dannato imbecille – non si fosse impicciato.
Non potevo crederci.
Lei era seduta al nostro tavolo e stava scherzando con quei due coglioni di Peter e Kyle come se li conoscesse da una vita. Ogni sua risata, ogni gesto, mi colpiva come un pugno nello stomaco.
Sembrava così a suo agio con loro, mentre io mi sentivo fuori posto, intrappolato tra il fastidio e l'invidia. Non capivo se mi infastidiva il suo modo di comportarsi o se era il fatto che non mi guardasse nemmeno per sbaglio.
Io l'avevo guardata incantato per tutto il tempo, ma ero stato bravo a non farmi notare.
E, in fondo, anche se era cresciuta, avevo capito che era rimasta la stessa bambina di sempre.
La mia piccola isola felice.
Era una dannata dea. Anzi, era la dea del mio inferno personale.
E per questo volevo liberarmi di lei al più presto, altrimenti i quattro anni più brutti della mia vita sarebbero stati inutili.
"Dobbiamo andare."
Lo dissi tra i denti, come se nel frattempo qualcuno mi stesse tirando un pugno in pieno stomaco. Fulminai i miei amici con lo sguardo, mi alzai e, senza guardarmi indietro, uscii dal locale.
Un paio di secondi dopo mi raggiunsero i ragazzi e, senza parlare, mi accesi una sigaretta e mi incamminai verso la palestra.
Sapevo che sarebbero arrivati i loro commenti.
"Blake."
"Non adesso, Peter."
"Che ti prende, amico?!"
Peter era come la mia spalla destra. Aveva un carattere solare e una battuta sempre pronta, ma quando voleva una risposta, non si fermava finché non la otteneva.
"Ahh, hai capito Kyle? È la piccola Cassie che lo fa scattare così tanto. Chissà perché."
Non gli diedi il tempo di ridere della sua stessa provocazione. Lo afferrai per la maglietta e lo spinsi contro il muro.
Lui mi guardò con un lampo divertito negli occhi, come se avesse voluto solo provocarmi.
"Lei non si nomina e non si tocca."
"Chiaro?!"
La mia voce uscì come un ringhio.
Non l'avevo allontanata da me inutilmente, rinunciando all'unico amore che avessi mai voluto, per poi far mandare tutto all'aria da loro.
Lasciai entrambi davanti alla palestra e me ne andai.
Lei non era solo una ragazza.
Era tutto. Il mio caos, la mia pace, il mio errore più grande.

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Ricordami chi ero
RomanceLa storia di Cassandra e Blake vi farà dubitare di ogni certezza Vi farà credere nei brividi sotto pelle Nel fiato che si spezza Nella pelle d'oca che non mente. Vi farà credere nelle anime prima dei corpi Nell'adrenalina come costante Nel destino...