24. Boxe

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Non riuscivo a togliermi  l'immagine di quell'uomo dalla testa, ed il pensiero mi disgustava letteralmente, ogni secondo di più.

Quel maledetto essere insignificante, voleva il mio perdono.

Voleva che io lo compatissi, che cercassi di comprendere anche solo in minima parte, il disagio che aveva dovuto provare per tutti quegli anni.

Quella povera creatura indifesa, ed io una brutta strega cattiva, che non riusciva ad empatizzare con tanta bontà d'animo; si era addirittura preso la briga di venire a chiedermi scusa, dopo la bellezza di 9 anni di torture psicologiche che mi ero auto-inflitta ogni santo giorno.

Sembrava essere tutto così semplice nei suoi panni, la risoluzione a tutto era ricondotta unicamente a 5 lettere. Ma a me queste ultime non sarebbero servite a riprendermi gli anni che avevo perso, a riprendermi l'amore di cui ero stata privata.

Nessuna richiesta di perdono mi avrebbe mai riportato indietro i miei genitori, ed io arrivata a quel punto, mi ci potevo letteralmente pulire il culo con qualsiasi tipo di supplica mi venisse mai fatta.

Ero seduta su una panchina con Nathan accanto, che non mi aveva mollata per un secondo da quando gli ero piombata addosso in lacrime come una povera imbecille.

"Io lo ammazzo, giuro." disse a voce bassa e digrignando leggermente i denti, mentre continuava a cullarmi tra le sue braccia.

Non ero ancora del tutto lucida, in quel momento avrebbe persino potuto infilarmi le dita nel naso, e non mi sarei sentita in grado di difendermi.

Perciò, nonostante quella vicinanza estrema non mi lasciasse del tutto indifferente e mi mettesse leggermente a disagio, non riuscivo ad allontanarmi o a trovare la forza di fare uscire l'acida che viveva dentro di me, per aumentare la distanza che si era ufficialmente azzerata.

Forse perché in realtà, era proprio quello il posto in cui volevo stare. Su quella nuvoletta immaginaria che mi ero creata, e che mi faceva sentire tanto in pace come non lo ero mai stata.

"Di chi parli?" chiesi confusa, dato che ancora non ero riuscita a trovare la spinta giusta per raccontargli quale fosse il motivo per il quale mi trovassi in quello stato alterato.

"Della persona che ti ha ridotto in questo stato, Chloe." rispose dopo qualche secondo di silenzio.

"E perché ho la sensazione che tu già sappia chi sia questa persona?" chiesi, allontanandomi leggermente dal suo petto, per poterlo guardare in volto.

Non mi rispose nell'immediato, si limitò a guardarmi intensamente negli occhi, per poi studiare ogni parte del mio viso malconcio.

Lo faceva sempre, ed ogni volta riusciva a farmi sentire estremamente fragile, come se di punto in bianco mi scaraventasse via la mia corazza di marmo, per far uscir fuori la parte più nascosta e vulnerabile di me.

"Credo che al momento, dopo ciò che mi hai raccontato, ci sia solo una persona che sia in grado di ridurti in queste condizioni." rispose, portandomi una ciocca dei miei capelli ambrati dietro l'orecchio.

I miei occhi tornarono a inumidirsi improvvisamente, e non appena mi resi conto della mia vista nuovamente offuscata per le lacrime, abbassai lo sguardo pronta per ripulirmi.

"Continua, non ti devi fermare." disse improvvisamente Nathan, alzandomi delicatamente il volto con le sue mani grandi, obbligandomi a guardarlo negli occhi.

"A fare che cosa?" chiesi titubante, lottando con tutte le mie poche forze rimaste per poter reggere quella vicinanza letale.

"Piangi, Chloe. Non bloccare l'istinto che senti di voler tirare fuori tutto quello che hai dentro." rispose, facendomi sentire come divorata dalla profondità dei suoi occhi blu cielo.

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