| Capitolo XII | - Vendetta e pietà

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* NAAY *

1357 d.C.

Il ricordo non voleva saperne di interrompersi... non che lo volessi, a dirla tutta. Dopo un primo istante di terrore, avevo realizzato che erano proprio le mie gambe a camminare, le mie braccia a strapparmi di dosso il vestito, rivelando i comodi e scandalosi calzoni al di sotto.

Ero lì e non ero lì. Il mio corpo si muoveva in autonomia, eppure non mi sentivo ingabbiata: benché non potessi cambiarle, ero stata io a compiere quelle azioni, in un passato lontano. Io a cogliere un movimento nell'oscurità e a scagliarmi in avanti e abbattere a terra una contadina terrorizzata, prima che un tronco fuoriuscisse dalla foresta.

La pianta volò sibilando sopra le nostre teste e i suoi rami ci sfiorarono la schiena. Avvertii lo spostamento d'aria e sobbalzai per lo schianto della collisione con il carro. Schegge volarono in tutte le direzioni, mente le assi di legno si frantumavano.
Comandando mentalmente alla mia pelle di rigenerarsi e irrobustirsi, concessi alla contadina, che si divincolava, di alzarsi. La povera donna era in lacrime e, come gli altri umani, gridava di terrore.

"Corri!" le gridai nel suo dialetto volgare "Correte! Il borgo di Napoli non è lontano!"

Non avevo terminato di dirlo, che il garzone con la spada si lanciò nella totale oscurità della foresta. Un uomo massiccio, non particolarmente bello, dal viso largo e abbronzato e due occhi infossati dietro ai quali, normalmente, si intravvedeva bontà. Non il terrore e la follia di quel momento.

"Esci fuori, codardo!" tradussi dal suo dialetto "Bestia demoniaca, ti rispedirò all'inferno!"

Imprecai tra me come un porcaro di montagna. Conoscevo l'Aesir che dimorava in quelle alture: un leccapiedi che esigeva che dai più deboli lo stesso atteggiamento. Se insultarlo lo avrebbe mandato fuori di testa, il fatto che un umano lo sfidasse a tal punto lo avrebbe fatto inferocire. Ma Ruggero non lo sapeva... non gli avevo mai detto tutta la verità su di me.

"State indietro! Messere, non attaccate, ve ne prego! Non avete speranza!"

Avrei dovuto tacere. Ruggero posò per un istante gli occhi bruni e accesi di terrore sui miei, L'ombra si avventò su di lui. Urlando di orrore, balzai in avanti, troppo tardi per intercettare l'assalto. L'uomo non ebbe neppure il tempo di registrare il suo movimento. Realizzò con sorpresa di trovarsi faccia a faccia con un'Aesir. A differenza della maggioranza dei suoi simili, questo esemplare era alto poco più di un uomo e composto da una luccicante e verde pietra vesuviana. Era inoltre dotato di sei arti affilatissimi, uno dei quali aveva trapassato il mio amico da parte a parte.

Se solo gli umani non fossero stati tanto testardi e avessero preso la deviazione che consigliavo... se solo quel bastardo fosse stato ancora dormiente come speravo...!
Tutto questo era colpa mia. Io avrei dovuto proteggerli, mentre invece avevo protetto il mio segreto.

Crollai in ginocchio, mentre la precipitosa fuga dei viaggiatori e le loro grida ed esortazioni a seguirli scivolavano in sottofondo. Conoscevo bene quell'uomo, i cui occhi si spegnevano alla ricerca della luce; provavo... avevo provato per lui sincero affetto, ora sostituito da un devastante dolore e rimorso.
"Mi hai dato del demone, umano? Hai una vaga idea di cosa io sia!?" La voce della creatura era vellutata quanto il cristallo, eppure la freddezza di cui era pregna la rendeva terrificante.

Per un mortale, se non altro. L'emozione che imperó nel mio corpo, attraendo a me il letale calore del magma e derubando la mia mente di ogni pensiero razionale, fu una furia senza nome. Una furia che i miei nemici conoscevano e temevano.

Il monologo dell'Aesir si interruppe non appena mi ersi su due piedi. V'erano metalli nella spada del mio amico, seppure freddi, avevo un controllo sufficiente del magma per attrarla nel mio pugno.

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