| Capitolo XI | - Alle origini

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* NAAY *

Pompei non bruciava più, eppure il calore e il fuoco avevano lasciato l'impronta indelebile sul brullo e desolato territorio entro svariati chilometri dal vulcano. I centri urbani carbonizzati erano ancora città fantasma, popolate solamente dai pigri volteggi della cenere.

Eppure, tutto intorno a quel deserto, la vita era andata avanti. Certo, l'economia italiana aveva subito un serio colpo, ma erano arrivati aiuti e supporti umanitari da tutta l'Europa per feriti e sfollati.

La colata piroclastica si era mossa prevalentemente verso sud-est, ossia dove ci trovavamo noi all'epoca, mentre per un soffio aveva graziato Napoli, a Nordovest. Per quanto poco fosse durata, aveva sostanzialmente ucciso qualsiasi essere vivente lungo la sua strada e l'ex-parco naturale del Vesuvio avrebbe impiegato decenni, se non centinaia di anni, per riprendersi del tutto. Era un processo lento, già visibile ai margini della zona morta...

Il Monte Cerreto... un margine su cui ora posavo entrambi i piedi (metaforicamente, giacché eravamo ancora in macchina). Diego guidava come un rapinatore inseguito dalla polizia, forse nel timore che da un momento all'altro un altro mostro ci avrebbe assaltati a tempo perso. Probabilmente non era il caso di saltare dall'auto in corsa, ma da un'ora buona mi agitavo sul sedile come uno stallone insofferente al proprio box.

Da diversi minuti la pietra lavica pulsava e sfarfallava luce. Era forse... irrequieta?
Certo, Naay, il tuo ciondolo è nevrotico, non tu, mi derisi da sola, nel tentativo di costringermi a rinsavire.

D'altronde, mi era capitato spesso di pensare che quel dannato affare avesse una propria volontà. Sembrava quasi che una montagna di energia potenziale vi fosse schiacciata e battesse mani e piedi dall'interno di esso.
Per quanto fosse assurdo, ero sicura che il contatto con la terra avrebbe aiutato, se non risolto il problema, ma il commento di Diego fu:

"Fammi capire, mi stai chiedendo di accostare perché il tuo ciottolo lavico è incontinente?"
Ci riflettei.
"Ok, ora che la metti così, lo so quanto sembri folle... Ma vuoi davvero farmi la predica dopo avermi dato dello gnomo?"

Emise un verso di incredulità, aggirando una zona dissestata della stradina in disuso. Nessuno veniva a riparare l'asfalto lì da anni.
"Solo tu hai pronunciato la parola 'gnomo'! Io quoto per 'guerriero ninja dai capelli impazziti e dalle mani di fuoco'..."

Aggrottai la fronte, passandomi istintivamente una mano tra la mia selvaggia chioma. Come da manuale, i miei insolenti nodi erano di diverso avviso.
"...un Super Saiyan...?"
Ero beatamente ignorante nel campo dei manga, ma sapevo che lui aveva attraversato una fase nerd, dieci anni prima. Lore l'aveva giurato sulla propria moto, la sua bambina.

Diego mi scoccò un'occhiataccia mirata a soffocare un sorriso e sollevò le mani, prima di ricordare che stava guidando e si apprestava una curva.
"Ti piacerebbe! Ascolta, io ho solo ammesso che fosse il caso di controllare se per caso..."
Assottigliai gli occhi a fessura. "... Sono sbucata dalla terra e per caso ci sono i resti del mio buco?"

Lore diede un colpo di gola. "Io devo fare due gocce, da altrettante ore. Tanto per dire."
Apprezzai il suo supporto e l'evidente bugia, mi Diego non si lasciò impietosire.

"Mancheranno dieci minuti! Piantatela di frignare e tenetevela! Scenderemo dalla macchina il meno possibile, controlleremo ciò che siamo venuti a controllare e ripartiremo."
Il suo tono di comando mi mi urtòi nervi, ma non trovai di che protestare. Potevo resistere, ignorando il pulsare implorante della pietra lavica. Prima ci fossimo allontanati da lì, prima avrei ricominciato a respirare.

Mi pentivo di più ad ogni istante di aver acconsentito: la teoria di Lorenzo era ben oltre il livello di assurdità che ero risposta ad accettare. Senza considerare quell'inquinante, eterno viaggio in macchina...

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