| Capitolo XXII | - Fatale

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* LORENZO *

Il mio cuore accelerò. Cosa significava quel ritardo? Per un istante mi ero illuso che Irsas di fosse offerto volontario come messaggero con buone intenzioni. D'altro canto, come dimenticare che quello era pur sempre il mostro di pietra che mia sorella aveva ucciso due volte?

La mia sola speranza era che Naay e Diego avessero ricevuto i miei messaggi.

Dalla mia buca udivo le loro profonde e rauche voci, distorte dall'eco, e captavo stralci di conversazioni irate e nervose. Irsas sarebbe dovuto tornare ore prima.
Riconobbi, in particolare, padre di Rianne, il quale si limitò a dichiarare freddamente che probabilmente gli Atridi l'avevano sgozzato sul posto. Non si era mai aspettato che Irsas tornasse.

"Quell'idiota verrà ricompensato per il suo sacrificio al prossimo risveglio..." Rise sinistramente tra sé. "Noi abbiamo un lavoro da portare a termine, vero, fratelli?"

Mi aspettavo coro di stereotipati "Roarr" da orco cattivo ed ero pronto alla conseguente pioggia di terriccio. Gli Aesir della crosta amavano far tremare la terra, si divertivano come bambini. Esso, con mia sorpresa, fu interrotto sul nascere da una voce assai più acuta e femminile. Rianne stava correndo, richiamando la generica attenzione, con la rabbia e l'indignazione di una principessina del ballo scaricata all'ultimo secondo.
Il cuore mi balzò in gola. Speravo avrebbe impiegato più tempo a notare...

"Maledetto sacco di carne, cosa hai fatto!?"
"Eh? Parli con me?"
Lei non si disturbò neppure a rispondermi. D'altro canto, le probabilità che si riferisse a uno scoiattolo o a un altro umano che le aveva infilato un telefono nei jeans mentre la baciava erano piuttosto basse.

Rianne si sporse oltre il bordo della buca e potei distinguere la sua figura in contrasto contro il cielo notturno. I furibondi occhi verdi di lei parevano rilucere, ma non di lacrime, bensì di fiamme e saette assai pronte a organizzare una grigliata con me.
Un lampo argenteo balenò nelle sue mani, come lo schermo del mio telefono catturò la luce della luna nascente.

"Credo tu abbia perso qualcosa, umano."

Fui rudemente estratto dalla buca dalla Cosa con tre occhi, la quale mi scaraventò a terra, ai piedi di decine di Aesir arrabbiati. Rianne mi afferrò per la maglietta, sollevandomi di peso e sbattendomi contro un albero. Ero completamente senza fiato, pertanto non ho idea di come riuscii a schivare in tempo il pugno con cui staccò un'intera sezione di tronco. Mi avrebbe certamente frantumato qualche costola.

"E-ehi, parliamone! Non so di cosa stai..."

"BUGIARDO! Infido... umano!" sputò tra i denti Rianne "Solo tu puoi avermi infilato questo oggetto in tasca! Voglio sapere cos'è! Voglio conoscerne la ragione!"

"Aiuterebbe se ti dicessi che è un amuleto umano per la gestione della rabbia?" mi scivolò tra i denti, prima di realizzare che probabilmente non era la cosa più saggia da dire.

Con un ruggito indignato, il padre di Rianne mi agguantò per il collo e mi mantenne in posizione contro un tronco, pronto a sferrarmi un ceffone inevitabile e probabilmente letale. Un'ondata di adrenalina mi percorse gambe e braccia, irradiando energia dal marchio. Il buco allo stomaco, la sete e il dolore per una nutrita collezione di lividi e abrasioni scivolarono in secondo piano.

"Mia figlia ti ha posto una domanda!" sibilò "Cos'è quell'oggetto? Un'arma? Forse è avvelenato?"

"No!" balbettai, terrorizzato. Non potevo certo dire la verità, o i miei eventuali soccorritori (un povero ostaggio poteva sempre sperare, no?) avrebbero perduto anche l'effetto sorpresa. Al tempo stesso, non intendevo neppure morire. "N-non le ho fatto nulla di male, lo giuro!"

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