| Capitolo XXIV | - Labbra di meteora

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* DIEGO *

 Quando avevo iniziato a sparare, non avevo pensato alla mia incolumità. Il bastardo di pietra che stava per giustiziare mio fratello per il crimine di appartenere al genere umano sarebbe morto, prima di toccarlo. 

Premetti il grilletto, una, dieci, cento volte. Il marchio pulsava sulla mano che sparava, conferendomi lestezza e precisione. Purtroppo, spesso occorrevano anche sei o sette proiettili per abbatterne uno e non avevo nessuno che mi ricaricasse l'arma... inoltre, quegli affari tendevano a non presentarsi in fila indiana aspettando di ricevere il proprio proiettile: si riversavano nella mia direzione come una mandria inferocita, abbattendo qualsiasi cosa sul loro cammino.

Ogni volta che uno di loro moriva, in qualche modo, lo sentivo... come un'ondata di energia che mi attraversava dalla punta dei capelli alle dita dei piedi.

Potevo solo sperare di distrarli a sufficienza da far fuggire mio fratello, giacché - e lo compresi in un lampo di lucido orrore - non avevo modo di scappare da loro. Il primo Aesir pestò una mina che avevo piazzato poco distante e fece saltare in aria anche il suo vicino. Seguì un coro di urla raccapriccianti e belluine.

Se non mi avevano ancora fatto a pezzi, era perché qualcosa li stava distraendo.
Decine di nuovi Aesir stavano infatti volando - volando!? - nella mia direzione. Il colore negli infrarossi indicava che erano ancora più freddi degli alberi, ma il fattore più scioccante era il fatto che stavano attaccando gli altri mostri, simultaneamente, come rapaci che volteggiavano e calavano in picchiata, a caccia di conigli.

Poteva essere... Naay con i rinforzi!? Il mio cuore saltò un battito, al pensiero, ma non la vedevo da nessuna parte. 

In breve, l'albero sul quale ero asserragliato fu circondato.
 Una seconda bomba esplose, assai più vicina, causando un significativo terremoto sui rami, che per poco non mi fece perdere la presa. Fortunatamente guadagnai così anche qualche istante di esitazione nei compagni che seguirono.

L'insulto che il più vicino mi rivolse era tanto ferale e mescolato a un ringhio che non riuscii a distinguerlo, ma la minaccia di morte lenta e dolorosa fu più che cristallina. 

"Sì, principessina, ti amo anch'io!" ribattei, facendo leva su tutta la mia competenza di sconcerto e irritazione del prossimo, per non cedere al panico. 

Notai che uno di loro stava sollevando un masso, pronto a lanciarlo contro il mio albero e - attraverso i rami - il sottoscritto.

Levare il fucile e mirare al petto fu puro istinto. L'orrenda creatura in ardesia cadde al primo colpo, in un'esplosione che non era composta da luce fisica... eppure minacciò di accecarmi. Il masso ricadde pesantemente a terra, sfasciando un cespuglio innocente.

Ups, pensai, con il fiato corto. Le mie dita tremanti ricaricarono rapidamente un fucile, mentre decine di occhi innaturalmente grandi e furibondi mi trovarono. Fu allora che caricarono. Mi gettai lo zaino in spalla e imbracciai il fucile.

Non appena l'albero iniziò a collassare sotto i miei piedi, vinto dalla furia ferale di decine di creature sovrannaturali, saltai. Sapevo dove sarei atterrato: in mezzo a loro. Il mio fu puro istinto di sopravvivenza, assolutamente inadeguato a quella situazione. 

Eppure, dopo un millisecondo di caduta, mi sentii afferrare dalla direzione sbagliata: l'alto. Incredulo, realizzai che l'artigliata mischia di Aesir della Crosta pronta a farmi a pezzi era ancora sotto di me.

 Levai gli occhi al cielo, per scoprire di non essere già morto e tra le braccia di Caronte o qualche Angelo impaziente: una delle creature fredde volanti aveva afferrato per lo zaino, traendomi in salvo.
Si portò in quota ad una velocità incredibile, evitando per un soffio una serie di massi scagliati in rapida successione, e rafforzò la presa prendendomi per un braccio.

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