| Capitolo XXVI| - Una tra noi

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* RIANNE *

Erano venuti dal cielo e si erano alleati con gli schifosi umani, in un simultaneo attacco di armi moderne e ratti assalti mordi-e-fuggi. Gli Aesir dell'Atmosfera si traevano in salvo dalla reazione dei miei simili fondendosi parzialmente al loro elemento, l'aria. Ci avevano soverchiati a dispetto della nostra superiorità numerica e ci avevano decimati.

Quei dannati purosangue che mio padre e i suoi compagni avevano radunato non erano abituati a combattere fuori dal loro territorio e non di certo con gli spiriti del cielo. Per di più, gli abitanti della crosta non sapevano fare fronte comune. Erano soliti combattere tra di loro, piuttosto, o occasionalmente con mezzosangue intrusi di varia natura.

Ora osservavo ciò che restava dell'esercito che avevamo radunato e pensavo alla morte di mio padre. Non mi rimaneva che raggiungerlo sottoterra per ritrovarlo, eppure... Volevo farlo? Lui mi avrebbe voluta?

La furia nei suoi occhi mi aveva spaventata... Non era mai stato tanto furioso o deluso da me. Io non ero una Purosangue. Invano avevo tentato per tutta la mia vita di esserlo, di soffocare la diversità dei miei pensieri: più lucidi, più imprevedibili... da mortale.

Infine, l'avevo deluso. Lui e tutta la mia gente. Il piano del rapimento era stato mio e io avevo fallito.
No, padre non vorrà parlarmi. Diverse centinaia d'anni non saranno sufficienti per ottenere il suo perdono.

Lorenzo, il mortale, gridò di dolore, riscuotendomi dall'abisso del mio rimorso un istante prima che vi precipitassi. Dissi agli snob purosangue di non ucciderlo, ma nessuno mi prestava più attenzione. Non ero nessuno per ordinare a loro, ora che il piano era fallito.

Mi chiesi quanti inverni avesse visto quel ragazzo. Lo avevo rapito e usato come esca, giacché - per qualche oscura ragione - l'atride aveva a cuore i suoi umani. Nella storia aveva sempre lottato per loro e conoscevo i suoi schemi: l'avevo osservata a distanza, avevo ascoltato storie.

Ciascuna delle sue azioni di quel giorno, tuttavia, mi aveva sorpresa. Ero certa che sarebbe venuta a liberare l'umano da sola, forte dell'orgoglio tipico della sua gente, e invece aveva radunato un esercito, chiedendo aiuto! Aveva marchiato due umani, dotandoli del potere di combattere un Aesir. Non si era fermata a trucidare ogni singolo nemico con stile per dimostrare a un pubblico invisibile il proprio potere, bensì era stata scaltra ed efficiente, al mero fine di aprirsi la strada.

Il tutto per salvare un singolo umano, su milioni.

Avevo rapito Lorenzo ritenendolo un colpo di fortuna: la strada migliore per limitare i danni. Sotto la minaccia degli spiriti maggiori del magma, infatti, gli avvelenatori non avrebbero avuto altra scelta se non sottomettersi a noi. Avremmo avuto dalla nostra un corrispettivo di ciò che gli umani definivano "bomba atomica". Con un simile deterrente, non ci sarebbe stato bisogno della distruzione totale...

Gli intensi occhi di Lorenzo trovarono i miei. Erano del colore della terra ed erano... Gentili. Spaventati. Arrabbiati, ma non crudeli.
In un folle attimo, desiderai di averli guardati prima di scaricare il ragazzo ai piedi di mio padre, offrendogli la sua vita.

A quel pensiero, il mio cuore si strinse, ma non potevo permettere che ciò apparisse all'esterno. Gli Aesir dovevano essere forti, invulnerabili. Chi mostrava debolezza, otteneva disprezzo.

Le parole del mortale mi risuonarono in testa:
"Mi dispiace per tuo padre."
Come poteva essere sincero!? Per poco non era stato ucciso da lui!
Di certo nessuno tra gli Aesir si sarebbe preso il disturbo di dirmi una cosa simile. Per loro, la disintegrazione e la rinascita erano fenomeni naturali, che seguivano i ritmi della Terra. Loro non avvertivano la mancanza dei cari perduti come un mezzosangue... Come avrebbe fatto un mortale.

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