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Hellen

Non ho niente da mettere.
Niente!

Raggiunsi quella conclusione dopo aver provato qualsiasi abbinamento e ora il mio letto non era più un letto, ma bensì un ammasso di vestiti buttati a casaccio.
Una montagna di indumenti dai soliti colori:
Nero, bianco, blu, beige e verde militare;
vestiti così anonimi.

Da quanto tempo non compro qualcosa di nuovo? Mi chiesi, mentre mi guardavo allo specchio.

D'un tratto vidi passare mia madre dal corridoio della mia stanza e tirai un sospiro di sollievo quando la oltrepassò.
A quanto pare, però, cantai vittoria troppo presto. Sentii i suoi mocassini fare qualche passo indietro, e poggiarsi sulla cornice della porta. «Mi spieghi cosa stai facendo?» chiese.

«Non ho niente da mettere» affermai, innervosita, mentre spostai lo sguardo da mia madre alla pila di vestiti e infine verso lo specchio per mirare il mio riflesso.

Avevo indosso un maglione nero con il colletto di una camicia bianca adagiato sul girocollo, jeans e Dr Martens. Sembravo così anonima da voler quasi sbadigliare.

«Ma per fare cosa, amore?» lei ridacchiò, stranita dal mio comportamento perché da un po' di tempo prendevo ciò che mi capitava dall'armadio e lo indossavo, facendo semplicemente attenzione ad abbinare.

«Niente» dissi.

Devo solo incontrare Demian, mamma, alla solita caffetteria dove siamo usciti insieme per la prima volta.
Dove amavamo andare tutte le domeniche mattina per fare colazione insieme, e ogni volta prima di andare al cinema, o per fare un aperitivo nel pomeriggio.
Quella caffetteria abbastanza lontana da isolarci dal resto del mondo ed essere solo noi, senza problemi, senza genitori oppressivi, compiti e domande sul futuro.
Dove un piatto di pancake diviso in due, risolveva ogni problema.
Quella caffetteria che non vedevo da mesi.
Quella caffetteria, mamma.

«E allora da dove viene tutta questa voglia improvvisa di cambiare tutto il tuo guardaroba?» lei sorrideva e non capiva che io, invece, stavo avendo una crisi di nervi.
«Devi andare in qualche posto importante?» alzò le sopracciglia, impicciandosi. Ma di sicuro il suo cervello stava pensando a Restian e non al mio ex che doveva parlare del mio libro che riguardava anche il suo, qualsiasi cosa voglia dire.

«Una specie» restai vaga.

Da un po' di giorni, in realtà, ero vaga, con tutti. Con Restian, soprattutto.
Ogni giorno, da quando avevo risposto a Demian, scrivendo solamente:

Ciao.
Credo che mi abbia accennato
qualcosa la tua editor, oggi,
ma non ho ben capito.
Perciò, ok,
fammi sapere tu quando.

E lui:
Posso venire domenica,
tra due settimane.
Di mattina va bene?
Così poi ti lascio libera.

Io non ebbi il coraggio di trovare il momento e le parole giuste per dire a Restian che io e Demian ci saremo visti, dicendomi - in testa - che l'indomani avrei trovato il modo di dirglielo. Ma alla fine "l'indomani" non arrivò mai e oggi è la "domenica, tra due settimane" e molto probabilmente, ora, la mia crisi di nervi non era causata solo dai vestiti.

Tenni quella "domenica, tra due settimane" per me. Solo per me.

Una parte di me si diceva che se non era così traumatico incontrarlo, avrei dovuto parlarne con tutti. Un'altra si diceva che non fosse nulla di importante, qualcosa che mi avrebbe solo fatto perdere del tempo, e che quindi non avevo motivo di far preoccupare Restian. L'altra ancora mi suggerì di cambiarmi per la millesima volta per l'ansia di essere presentabile.

Noah e Abby - Noi attraverso loroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora