ricordi

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La finzione, un ottimo rimedio per eludere la crudeltà e l'abisso più profondo nel quale la nostra mente è affogata tempo fa.
Si finge di avere ogni atto sotto il proprio controllo, di saper governare le proprie emozioni, quelle bastarde e che ti annientano qualsiasi piano ben sviluppato.
Facile fingere, essere convinti realmente che tutto ciò che ci sta logorando e bruciando proprio in mezzo al petto sia soltanto un qualcosa da evitare, a tal punto da ripetere perfino a sé stessi che non esista nemmeno.
Si vive consumati, inceneriti dalla realtà che soltanto noi reprimiamo per paura.
Quale altro miglior modo per affrontare un qualsiasi genere di problema? Fingere che non ce ne sia traccia.
Si è impauriti dalla gravità di esso, di una fallita soluzione, della debolezza di cui siamo plasmati e di rimarne succube.
Modella e rifinisce gli angoli più spigolosi della gabbia che ci accoglie quasi accomodante, accogliente.
Una gabbia intrinseca di contrasti, risposte lasciate appese ad un filo brillante di falsità e cattivi modi per uscire dal circolo vizioso che la nostra stessa testa impone.



NEPHELE

La brina dell'erba fin troppo lunga, inumidisce il tessuto dei jeans e qualche ciuffetto rimane impigliato, attaccandosi alla scarpa.

Siamo avvolti da stelle e dalla profondità di questo posto.

Nessuna parola sembra voler spezzare questo silenzio pacato e perfetto.
La mia lingua è intrecciata su sé stessa e non se la sente di pronunciare alcun suono.

Ho bisogno di silenzio.

Calpestiamo il terreno morbido e non mi curo del terriccio che si incolla sotto la suola bianca.

Lui cammina poco più avanti di me con entrambe le mani infilate nelle tasche e la testa rilassata.

Studio la forma delle sue spalle e di tutta la sua schiena.
Le sue proporzioni sono fuori dalla norma, ma decisamente accattivanti e di attrazione.

La luce della luna ricade sui contorni del suo corpo e ne calca le forme perfette e ben armoniose.
Sembra sia fatto per essere mostrato in tutta la sua magnificenza in ogni occasione.

Compie grandi passi fino a raggiungere una panchina in legno poco più distante.

Lo seguo fino ad un certo punto, per poi cambiare direzione ed avvicinarmi all'altalena di fronte.

Il freddo metallico delle catane spesse mi provoca un lungo brivido in tutta la schiena e una vampata fuggitiva di colore.
Sento a poco, a poco il materiale riscaldarsi sotto il mio tatto e fondersi in un certo senso con il mio palmo.

Compio dei passetti lenti all'indietro e alcuni in avanti, dondolando con il mento rivolto verso il cielo.

Inalo l'ossigeno fresco e persino l'aroma della pioggia.

Vorrei poter sentirmi così ogni volta al sorgere di un problema, leggera.
Perché il peso che porto sulla testa non riesco più a sopportarlo.

Voglio avere una risposta a tutto, subito.
Aspettarmi e sperare che quello che più temo, sia solo pura fantasia e fraintendimento.
Tornare a casa e ricevere come risposta una risata per l'assurdità appena detta.

Chiudo gli occhi esausta e abbandono un sospiro flebile nell'aria.

Se persino i miei fratelli sono i primi a mentirmi spudoratamente, di chi dovrei fidarmi?

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